In una canzone su quattro Fabrizio De André ha raccontato storie usando anche parolacce. Forse perché, come lui stesso cantava, è "dal letame che nascono i fiori".

Le "volgarità" inserite da De André nei suoi brani non sono tuttavia mai state oggetto di analisi nel dettaglio. E ora è lo psicolinguista Vito Tartamella, uno dei pochi esperti al mondo di parolacce, a rendere noti i risultati di un inedito studio sul "turpiloquio" in uso a Faber, anticipandone alcuni risultati proprio nel giorno, il 18 febbraio, dell'anniversario di nascita del musicista.

Tartamella ha studiato "tutte le 125 canzoni scritte in carriera" da Fabrizio De André, arrivando ad un "risultato che è stato sorprendente". "Ho scoperto - ha spiegato in esclusiva all'agenzia stampa Adnkronos - che De Andrè ha usato più di 30 diversi termini scurrili, che sono presenti in una canzone su quattro".

SCELTA NON CASUALE - "La scelta del cantautore genovese di usare il linguaggio basso - spiega lo piscolinguista - non è stata un caso. Perché Faber metteva una cura maniacale nella scelta di ogni singolo termine". E d'altra parte, osserva ancora Tartamella nel suo studio, "per una persona che amava senza snobismo la cultura popolare, la schiettezza e il realismo, le parolacce hanno rappresentato uno strumento molto efficace, persino in testi raffinati e complessi come i suoi".

Le parolacce secondo lo psicolinguista "arricchiscono in modo straordinario la tavolozza espressiva" di De André, "tanto che molte di queste strofe 'a tinte forti' sono passate alla storia. E rivelano in modo efficace la sua personalità e il suo mondo artistico".

LE DIVERSE "TIPOLOGIE" - Secondo Tartamella, il dato "più interessante di tutti" messo in luce dalla ricerca "è il tipo di parolacce" usate da Faber: "la maggior parte (55%) sono insulti, seguiti da termini sessuali (34%). Hanno invece un ruolo marginale i modi di dire (6%), i termini 'escrementizi' (3%) e le maledizioni (2%)" .

E questo, argomenta l'esperto, "non stupisce: nelle sue canzoni, De André prende posizioni apertamente e gli insulti non sono altro che giudizi sommari di condanna verso una persona nella sua totalità".

Gli insulti preferiti da De André, fra i quali alcuni in genovese, erano "quelli che disprezzano la mancanza di intelligenza: idiota, scemo, cialtrone, cretino, nèsciu". Ma "ha altrettanto peso il disprezzo per chi si comporta in modo scorretto - cialtrone, carogna, galûsciu, infame - e sono tutti insulti che squalificano personaggi tronfi, disonesti, ignoranti".

(Unioneonline/v.l.)
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