Su tutti i libri di scuola troviamo scritto a chiare lettere che il primo europeo a raggiungere l'America è stato Cristoforo Colombo nel 1492.

In realtà stanno emergendo sempre più prove archeologiche e documentarie che mostrano come altri navigatori provenienti dall'Europa abbiano raggiunto il Nuovo Mondo prima del marinaio genovese. Di questi viaggi però poi si è persa memoria perché non hanno portato alla nascita di relazioni stabili tra Vecchio continente e Nuovo Mondo. Oramai è, infatti, pressoché assodato che i primi europei a giungere nell'America del nord, a cavallo dell'anno Mille, siano stati i vichinghi che si spinsero in Groenlandia e da lì fino alle coste occidentali dell'odierno Canada.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Elio Cadelo, giornalista e grande conoscitore della scienza nautica e della geografia degli antichi, si spinge però ancora più indietro nel tempo. Nel suo documentatissimo saggio "L’oceano degli antichi" (LEG, 2018, pp. 480) ci illustra le conoscenze scientifiche e le capacità tecnologiche in possesso nel mondo antico e dimostra prove alla mano come i romani, ma anche fenici e greci prima di loro, avessero le competenze nautiche, matematiche e geografiche per affrontare non solo il Mediterraneo ma anche le vastità dell'oceano.

Naturalmente avere la capacità di compiere un'impresa non significa necessariamente che poi venga compiuta. Però il libro di Cadelo vuole prima di tutto portarci a non dare per scontato nulla. A non fermarci all'immagine stereotipata degli antichi come uomini superstiziosi, terrorizzati dall'idea di sorpassare lo stretto di Gibilterra perché lì, secondo il racconto mitologico, Ercole avrebbe posto le sue colonne, così da segnare il limite invalicabile del mondo. L'uomo antico viaggiava, esplorava, ricercava nuove vie come hanno sempre fatto gli esseri umani nella loro storia. Lo facevano chiaramente con i mezzi tecnologici dell'epoca e con conoscenze ancora limitate rispetto a un mondo che era veramente vasto per uomini che si muovevano a piedi o contando sui remi e le vele. Però si muovevano e forse questo spiega, come racconta Cadelo nel libro, perché nei mosaici romani si vedano frutti che paiono ananas, ufficialmente giunti in Europa nel XVI secolo, oppure uccelli che paiono grandi pappagalli sudamericani.

Particolare del mosaico con il presunto ananas alle terme di Roma (foto Roberto Roveda)
Particolare del mosaico con il presunto ananas alle terme di Roma (foto Roberto Roveda)
Particolare del mosaico con il presunto ananas alle terme di Roma (foto Roberto Roveda)

E ancora perché in una tomba azteca sia stata rinvenuta una testa marmorea raffigurante una donna con un'acconciatura identica a quella di una matrona romana dell'età imperiale.

Secondo l'autore questi sono tutti indizi molto forti dei contatti avuti da Roma con il Nuovo Mondo e si sa che gli indizi sommandosi formano una prova. O almeno ci si avvicinano molto…
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