Scomodando il meno possibile Esopo, con le sue formiche operaie e le sue cicale canterine, le provviste nei nostri invasi inducono a qualche riflessione. Nel sistema Sardegna, come certifica - sotto l'ombrello dell'Autorità di bacino - il bollettino dei serbatoi artificiali, c'è un tesoretto di 1,2 miliardi di metri cubi d'acqua. Luccica ancora di più se si aggiunge che la risorsa equivale al 70% della capacità complessiva autorizzata. Aggettivo che indica il livello di scorte consentito dalla burocrazia, non la quantità d'acqua che quel bacino potrebbe contenere.

Chiariamo meglio con un esempio nel cuore dell'Isola, l'Omodeo. Il 23 gennaio 1997 il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro inaugurò un muraglione sul Tirso alto più di cento metri che, secondo i complessi calcoli di uno stuolo di ingegneri, avrebbe potuto trattenere 745 milioni di metri cubi d'acqua. Di fatto, dopo quasi ventidue anni, il volume autorizzato è di 366 milioni. Meno della metà rispetto a un'opera maestosa costata 360 miliardi di lire.

Sulle colonne di questo giornale, nei giorni scorsi, Filippo Petrucci, nel 2016 candidato sindaco a Cagliari con i Rossomori e oggi consigliere comunale, ha avanzato una proposta: perché non accelerare le operazioni di collaudo ora che c'è acqua in abbondanza? Una proposta a metà strada tra buonsenso e provocazione. Ma è stato un sasso nello stagno: nessuno ha alimentato il dibattito, per ora. Proviamo a rilanciarlo qui.

Per tutte le opere di sbarramento da 15 metri in su e con un volume d'invaso di almeno un milione di metri cubi, l'ultimo timbro, quello che vale di più, deve arrivare dal Servizio nazionale dighe, ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ma, a valle, il gioco di incastri coinvolge decine di enti. E così, aspettando che a Roma completino il puzzle, tanta acqua continua a finire sotto le paratie, incanalandosi verso il mare. Che spreco! Nessun dubbio, la sicurezza viene prima di tutto. Giusto qualche giorno fa c'è stata una tragica ricorrenza, i 55 anni dal disastro del Vajont. Prudenza e buonsenso, tuttavia, possono viaggiare insieme. E la Sardegna, in questa direzione, vanta anche esempi virtuosi. Il Consorzio di bonifica della Gallura, che ereditò dall'Ersat la gestione del lago del Liscia nel 1999, partendo da una pozzanghera o poco più, riuscì nel 2005 a ottenere dal Servizio nazionale dighe l'autorizzazione a un invaso di 104 milioni di metri cubi. Il massimo previsto dai progettisti della diga.

Come fu possibile? Il Consorzio andò avanti per gradi. Vennero raccolti 10 milioni di metri cubi in più rispetto alle scorte presenti e, accertata la tenuta dello sbarramento in cemento armato, dentro altri 10 e così via sino al massimo invaso. Il mix vincente tra pioggia e voglia di far bene portò a un risultato straordinario. Quota 104 milioni. Le riforme volute da Soru accentrarono a Cagliari, qualche anno dopo, anche la gestione del Liscia, ma questa è un'altra storia. "Nessun intento polemico", premette Giosuè Brundu, ieri e oggi direttore generale del Consorzio di bonifica con sede ad Arzachena. "Troppo spesso però", aggiunge, "si volta le spalle al principio di sussidiarietà. Ovvero: facciamo fare le cose, se ne ha le capacità, a chi è più vicino, a chi ha un interesse territoriale, che è l'interesse più forte. Con tutto il rispetto per Cagliari, che comunque è a 300 chilometri".

Un po' come quando il legislatore e il codazzo di burocrati varano codici per gli appalti o contro la corruzione senza mettersi nemmeno per un attimo nei panni di chi (sindaci, imprenditori e aggiungete un po' voi) quelle norme dovrà mettere in pratica. Non sorprende, allora, tanto più dopo il crollo del ponte Morandi o pensando alle nostre allerta arancioni che virano al rosso, che oggi chi ha potere di firma abbia più che mai paura della sua ombra.

Poi ci sono le storie di ordinaria (e vergognosa) burocrazia, come quella della diga sul Monte Lerno, a Pattada, al centro, giusto l'altro ieri, di un'interrogazione del consigliere regionale del Pd Valerio Meloni. Può far spazio, il lago, a 72 milioni di metri cubi, ma ci si deve fermare a 34 in attesa di interventi di manutenzione i cui ritmi mettono in conto tutto ma non la sete. Giusto per capire (lo evidenzia bene Meloni), alcune decine di milioni di metri cubi in più - quelle che ora buttiamo via - corrispondono a due anni di tranquillità. Per i rubinetti delle case e per l'irrigazione dei campi.

L'acqua finisce in mare? Ma sì, lasciala andare. Ci potremmo fare anche una canzone. Affidandola alle nostre amiche cicale.

Emanuele Dessì
© Riproduzione riservata