C ongelate la classifica, per un minuto. Lasciate da parte i numeri, la fredda graduatoria che colloca il Cagliari lì, in zona rossa. E prendete la prestazione di ieri sera, davanti alla squadra più in forma della Serie A: i rossoblù lottano su ogni palla, diverse le occasioni da gol, una sola disattenzione, ma fatale. Non sembrava una squadra disperata, piuttosto una che accetta la sfida, che ha il coraggio di provarci, nonostante un gap di qualità e di quantità evidente. Poi scongelatela, quella classifica, per avere più chiaro lo scenario: il Cagliari annaspa, fa un punto in otto partite, è una di quelle che cammina più lentamente (nelle ultime dieci partite, solo il Parma ha fatto peggio) ma c'è. È viva, la squadra che Di Francesco ha rimodulato ancora una volta in quell'Olimpico che nella primavera del 2017 lo osannava, dopo la vittoria storica sul Barcellona. Ma il suo Cagliari non produce, la svolta non arriva, l'atteggiamento è quello sperato ma l'autostima è sotto i tacchetti e il morale da ricostruire. Ogni gara una finale, si dice nel calcio, e lo spirito visto ieri sera sembrava quello giusto: il Cagliari ha messo paura a una Lazio inarrestabile, ma che ha dovuto soffrire fino al 95' per tenere a Roma tre punti pesantissimi. C'è un episodio che spiega meglio di altri quanto i rossoblù siano andati vicini a una vera e propria impresa: la rabbia di Inzaghi al momento della comunicazione del recupero, cinque minuti, un lasso di tempo in cui sarebbe potuto succedere di tutto. La famosa ruota che gira e invece non gira mai.

Il Cagliari ci ha abituato a clamorose rimonte e anonimi finali di stagione, magari dopo aver fatto sognare i tifosi. Un anno fa, di questi tempi, la squadra (allora affidata a Maran) aveva 31 punti, dopo una straordinaria partita sul terreno dell'Inter. Sembra passato un secolo, in effetti qualcosa nel frattempo è accaduto, ma una stagione come questa non era pronosticabile neppure dal peggior nemico del Cagliari. Dall'errore di Cerri nel recupero contro il Genoa al piattone di Pereiro, ieri sera, a un soffio dalla fine: però sono segnali, significa che sei arrivato a giocarti palloni pesantissimi nel finale di gara.

Sarà lunghissima, sarà appassionante e sofferta, questa corsa del Cagliari verso il quart'ultimo posto. Nessuno si deve chiamare fuori, con la società che dopo la conferma del tecnico - con l'ambiente in piena tempesta emotiva - ora deve tenere i nervi a posto e fare come la squadra, maniere forti e tanto carattere per non sprofondare. Sarà durissima, anche per i risultati - tutti - che non aiutano a giocare con la testa libera. Oggi comincia una settimana delicata, perché all'Arena domenica arriverà l'Atalanta - si può dire che è il peggior avversario che ti potesse capitare? - e ad Assemini saranno i giorni del rimpianto e della ricostruzione del morale. Tutti insieme, seguendo una strada che sembra quella giusta. Perché è l'unica.
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