I l 2020 è cominciato col botto. E a spararlo è stato Donald Trump, il Presidente di una nazione che oggi è riluttante a esercitare il suo ruolo tradizionale di superpotenza militare.

Che cosa ha indotto Trump a ordinare l'attacco e l'uccisione di Qassem Soleimani a Baghdad? Tutto sconsigliava lo strike mirato: ci sono tensioni crescenti in Iraq, il personaggio è circondato da un'aura di leggenda, è una figura carismatica amata (e temuta) dagli iraniani e dalla comunità sciita in tutto il mondo. La sua eliminazione è un punto di non ritorno. Chiunque con questi elementi avrebbe chiuso il dossier, alzato il calice e continuato a brindare al 2020. Ma Trump è un uomo come tutti noi alla guida di un paese straordinario: gli Stati Uniti d'America. Sulla sua scrivania, tutti i giorni, arriva un report che si chiama The President's Daily Brief (PDB), è top secret, è prodotto tutti i giorni dalla Cia e illustra al presidente tutte le operazioni coperte, le opzioni, i rischi e le opportunità. È una mappa che serve al Commander in Chief per decidere.

Questo report spesso è associato a alcuni nomi presenti in una killing list, persone che costituiscono una minaccia per l'America e devono essere eliminate. Negli ultimi vent'anni lo sviluppo della tecnologia satellitare (mappe e gps), della sorveglianza di massa (intercettazione dello spettro elettromagnetico) e dei droni (consiglio la lettura del libro “Teoria del drone. Principi filosofici del diritto di uccidere”, di Gregoire Chamayou) ha fornito all'antica arte dell'eliminazione a sorpresa del nemico, strumenti di grande precisione.

U ccidere Soleimani è stato facile, un paio di missili e la sua auto è diventata un groviglio d'acciaio arroventato. La parte difficile di questa storia è il prima e il dopo. Prima, la decisione dello strike da parte del presidente americano; dopo, l'analisi delle conseguenze sul terreno geopolitico e la strategia per attutirne l'impatto.

L'eliminazione di Soleimani è un grande successo della Casa Bianca, questo è un punto incontrovertibile. Dice all'Iran che nessuno può sentirsi al sicuro e che l'America alla fine punisce i suoi nemici. Soleimani non era uno stinco di santo, era un professionista dell'assassinio, a lui facevano capo le forze al-Quds, specializzate nelle operazioni estere e non si tratta di missioni umanitarie. L'Iran è debole, colpito dalle sanzioni, ha perso il suo comandante e qualsiasi manuale di guerra insegna che in battaglia uccidere il condottiero è tutto.

Sul piano geopolitico, la caduta di Soleimani rafforza l'Arabia Saudita e la Turchia (e qui pensate alle implicazioni che avrà tutto questo sullo scenario della Libia). Riad è la petromonarchia di oggi e di domani (il petrolio non finirà così presto come dicono gli utopisti, come si alimentano navi e aerei di un mondo connesso e ristretto?) guidata dal principe della corona Mohammed Bin Salman; Ankara è il domino del sultano Erdogan, il simbolo di un nuovo espansionismo ottomano. Siamo ai primi bagliori di un nuovo ordine mondiale e non possiamo escludere che domani ci sia una terza Guerra del Golfo.

Che cosa potrebbe accadere? Vox Populi dice che gli iraniani daranno una terribile risposta agli Stati Uniti. E già qui bisogna mettersi d'accordo su cosa sia terribile e prendere in in ogni caso in seria considerazione la realtà delle forze in campo. Primo punto: gli Stati Uniti d'America sono una potenza nucleare, l'uso della Bomba non è un fatto teorico, è già successo. Un presidente mite, Harry Truman, l'uomo di Independence, ordinò di sganciare due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Possedere la Bomba significa avere un potere deterrente su chiunque immagini di poterti colpire al cuore. Immaginiamo che alla Casa Bianca non abbiano intenzione di usare il nucleare, ma anche in questo caso, gli Stati Uniti hanno un arsenale in grado di radere al suolo qualsiasi paese. Prima di colpire Washington, bisogna pensarci a lungo. Più a lungo di quanto abbia fatto Trump con l'eliminazione di Soleimani. Gli iraniani potrebbero decidere di colpire un altro paese, alleato degli Stati Uniti. Il candidato ideale per Teheran è scontato, Israele. Ma c'è il solito problema: anche Israele ha la Bomba. E non esiterebbe a usarla di fronte a un'azione di sterminio. Dunque, l'Iran deve ponderare la risposta per non ritrovarsi in mezzo a un deserto radioattivo. Come? La sua reazione deve essere proporzionata e simmetrica: deve scegliere un solo bersaglio, di eguale importanza, e usare armi convenzionali. Tutto quello che è fuori da questo perimetro scatenerebbe una risposta da Leviatano degli Stati Uniti (o di Israele). Questo è esattamente il calcolo, l'azzardo, la scommessa che ha fatto un gambler come Trump: l'Iran non può permettersi di aprire una guerra con l'America. Può uccidere qua e là qualche soldato, provare l'azione spettacolare. C'è un precedente che sconsiglia il colpo di testa, chiedere notizie di Osama Bin Laden, la sua vita è finita in una notte in Pakistan, crivellato di proiettili delle forze speciali americane. I cattivi muoiono sempre.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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