B asterebbe rileggere “Le città invisibili”, di Italo Calvino, per stilare un manifesto elettorale efficace per Cagliari. Quel dialogo immaginario tra Marco Polo e Kublai Khan, è infatti, ancora oggi, prepotentemente attuale e così le sue suggestioni, le sue immagini, vive e ribelli, rispetto al pensiero dominante.

Ricordiamone alcune: “La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole”. Oppure: “Le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure”. O ancora: “Ogni volta che si entra nella piazza ci si trova in mezzo ad un dialogo”.

Sono immagini che, oltre ogni verbalizzazione, ci restituiscono un dato: la città come vissuto, come racconto, come sindone della sua esistenza. La città non è un elemento decorativo, estetico, da apparecchiare al visitatore di turno, è un organismo vivente, fatto delle vite passate e presenti di chi lo abita, lo vive. La tendenza, subita da molte città italiane, di offrirsi al pubblico come musei di chincaglierie luccicanti è lo specchio dell'insipienza di quegli amministratori che non hanno capito il valore del patrimonio storico e umano che i luoghi custodiscono e che, se recuperato, è un attrattore impareggiabile.

Aveva ragione Calvino: “Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova il suo passato, che non sapeva più di avere”. (...)

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