"Cara Unione,

a buttare l'occhio su certe esternazioni social esagerate, relative ai giorni di solitudine e noia piuttosto ingestibili, ho riflettuto seriamente su una questione importante. Il mio pensiero è andato a chi la solitudine, in questo periodo, la vive non sul divano, ma in maniera più drastica: intubato nel letto di un ospedale.

Muoiono così i casi più gravi colpiti dal Covid-19: senza nessun parente accanto. Si spengono senza vedere familiari o amici. Nessuno tiene loro la mano. Nessuno dà loro conforto. Nessuno porge loro una carezza.

Gli uomini e le donne più sfortunati che si trovano nei reparti di terapia intensiva a causa del coronavirus, vorrebbero tanto stare a casa ad annoiarsi fra le quattro mura. Vorrebbero guardare film, leggere libri, ascoltare musica e via dicendo. Ma non possono, loro. Loro vittime di un male invisibile che prima gli ha rubato il respiro e poi a molti, troppi, ha preso pure la vita.

Ieri ho letto un'intervista nella quale una ragazza raccontava lo strazio dell'aver perso il padre, un uomo che ha sempre goduto di buona salute, così, in pochi giorni, senza la possibilità di fargli sentire la propria vicinanza e di salutarlo per l'ultima volta. Una testimonianza di una tristezza indicibile. Una storia (e non è l'unica) che fa venire i brividi. E che, in questi giorni delicati e turbolenti, ci deve far riflettere parecchio. Invitandoci ancor più alla prudenza.

Insomma, il momento è difficile per tutti. E cadere nello sconforto è lecito: siamo esseri umani e siamo abituati al movimento della nostra quotidianità ora stravolta.

Ma prima di scrivere sermoni o piagnistei continui, ogni giorno, ripetutamente, pensiamo a quella figlia dell'intervista. Pensiamo a quel padre. Pensiamo a tutta quella povera gente che non farà più ritorno a casa. A chi vorrebbe essere al nostro posto a spendere il tempo nelle maniere oramai ribadite a iosa. Recluso, barricato e magari stufo, però in condizioni ottimali. Ma non può. (Ci passa di mente, ma il semplice fatto di essere sani, ora più che mai, ci rende assai fortunati.)

Riccardo Sanna

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