"Gentile redazione,

così si esprimeva il grande Don Milani: "L'operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo è lui il padrone". Vorrei brevemente commentare le sue parole, senza avere l'aria di contraddire il famoso Priore. In esse, il connettivo 'per questo' collega due affermazioni:

a) l'operaio conosce 100 parole;

b) il padrone ne conosce 1000.

Mi son fatto una domanda: nell'affermazione, estratta dalla famosa "Lettera a una professoressa" dei ragazzi di Barbiana, qual è la causa e qual è l'effetto? Il padrone è tale in virtù delle mille parole oppure conosce mille parole perché è padrone?

Nel primo caso, sarebbe sufficiente aumentare il numero delle parole conosciute dall'operaio per pareggiare il suo potere di cittadinanza a quello del padrone ed eventualmente anche superarlo.

Nel secondo caso, la situazione sarebbe bloccata nel privilegio dell'appartenenza.

In effetti, Don Milani sapeva molto bene che non bastano 1000 parole, e anche molte altre ancora, per pareggiare le condizioni dei due. Ma sapeva altresì che esse servono comunque per cambiarle, per prendere coscienza dei meccanismi della selezione e stratificazione sociale e della ineguale distribuzione del potere e della ricchezza tra i cittadini, uguali in astratto e per definizione, tali soltanto in virtù di una generosa ipotesi che stenta a diventare realtà. Che servono, in realtà e per paradosso, ad evitare che si attribuisca alla parola, al linguaggio e alla capacità di servirsene (la retorica!), il magico potere di cancellare le disuguaglianze e pareggiare i destini terreni delle persone.

Le cause e gli effetti spesso si confondono, si attorcigliano e creano paradossi. Cadono nel tranello anche certi politici, quando affermano di vedere nell'istruzione il rimedio alla dispersione scolastica. Spesso colti e buoni conoscitori della materia, li tradisce l'uso incauto della parola".

Gabriele Uras - già dirigente scolastico, Cagliari

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