Una domenica di luglio del 1770 davanti a occhi increduli di nobili, servi e guaglioni avvenne qualcosa di prodigioso, come raccontano le cronache napoletane dell'epoca: una carrozza di lusso con cocchiere, trainata da una fila di cavalli al galoppo sulle onde, attraversava con assoluta maestria il tratto di mare davanti a capo Posillipo. Fu quella l'ultima scenografica trovata pubblica del settimo principe di Sansevero. Don Raimondo non era proprio quello che si dice un uomo comune. Studioso, scienziato, alchimista, chimico, sperimentatore, uomo d'armi, letterato, meccanico ma soprattutto fecondo instancabile inventore. Raimondo de Sangro duca di Torremaggiore, fu quel poliedrico mecenate a cui è legata la famosissima scultura del Cristo Velato. Un'opera che mozza il fiato, realizzata da Giuseppe Sanmartino, probabilmente nel 1753, posta al centro della Cappella museo di famiglia, luogo magico, ipnotico. Una meraviglia irraggiungibile dell'arte barocca mondiale.

La Cappella di Sansevero a Napoli ( foto Ansa\r)
La Cappella di Sansevero a Napoli ( foto Ansa\r)
La Cappella di Sansevero a Napoli ( foto Ansa )

IL PRODIGIO E IL MISTERO Quest'anno si celebrano i 250 anni della morte del principe. Era il 22 marzo 1771, De Sangro aveva 61 anni. Genio spregiudicato votato alla scienza illuminista, primo Gran Maestro della Massoneria napoletana, don Raimondo fu anche il fondatore di una loggia massonica di tipo scozzese, ispirata ai principi del leggendario ordine segreto dei Rosacroce. Il suo nome, mentre era ancora in vita, fu subito avvolto dal mito e da un alone di mistero che lui stesso non esitò ad alimentare. Persino la sua morte e il post mortem non hanno soluzione di continuità con la sua vita sempre sopra le righe e leggendaria. Sembra infatti che in quell'estate del 1770 il principe fosse colpito da violenti ulcere in diverse parti del corpo, secondo alcuni a causa dei suoi esperimenti in laboratorio e delle sue spericolate ricerche alchemiche. Otto mesi dopo morì e al termine della cerimonia funebre, il suo corpo venne sepolto nella tomba della Cappella Sansevero o della Pietatella. Questa risultò essere la volontà di don Raimondo, come attestava ufficialmente il suo testamento. In realtà i suoi resti non sono mai stati ritrovati. La salma di De Sangro è come sparita nel nulla. Non solo la sua ma, pare, anche quella del primogenito Vincenzo. E stessa sorte è toccata alla salma dell'ultimo principe di Sansevero, Michele de Sangro, nato nel 1824 e deceduto nel 1881, 120 anni esatti dopo il suo prodigioso avo. Le ricerche del corpo del Gran Maestro furono condotte già all'indomani della morte del principe e per diversi anni a seguire sino ai nostri giorni. Niente, il suo corpo è volatilizzato. Da qui è nata una vera e propria leggenda sull'immortalità del principe, ripresa poi anche da Benedetto Croce. Secondo diversi studiosi, fra cui l'esperto Michele de Iorio, la salma di Raimondo potrebbe essere stata portata via dai servi di notte, «a tre giorni dalla sepoltura, dalla sua tomba ufficiale e inumata sempre in Cappella, ma altrove. Raimondo in vita aveva infatti numerosi nemici: alti prelati, massoni e dignitari della Real corte invidiosi, e i suoi fedelissimi avevano probabilmente voluto scongiurare una eventuale profanazione» (Lo Speakers Corner).

Il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino (foto Ansa)
Il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino (foto Ansa)
Il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino (foto Ansa)

Il NOBILE E LA CAPPELLA

Al civico 19, in via Francesco De Sanctis, una via che oggi incrocia con la strada dedicata a Raimondo de Sangro si trova uno dei luoghi più misteriosi e visitati di Napoli. È il Museo Cappella Sansevero. Le sue origini risalgono a un episodio leggendario, un'apparizione in quell'angolo del capoluogo partenopeo dell'immagine della Madonna avvenuta intorno al 1520. Il primo nucleo di quello che diventerà il Mausoleo della famiglia patrizia lo fece costruire Giovan Francesco de Sangro, duca di Torremaggiore, gravemente malato e miracolosamente guarito dopo un voto fatto a quell'immagine mariana. Nacque così la cappella di Santa Maria della Pietà o Pietatella. Ma quella che oggi possiamo ammirare è il frutto della complessa trasformazione voluta da Raimondo de Sangro, circa duecento anni dopo. Per cogliere la vera essenza della Cappella di Sansevero, gioiello artistico internazionale, è necessario inquadrare meglio la complessa personalità del settimo principe di Sansevero. Raimondo de Sangro è infatti la perfetta incarnazione dell'intellettuale e letterato del primo Settecento, erudito e spinto da una sconfinata curiosità illuministica nei confronti della natura e del uomo. Tra le sue innumerevoli invenzioni vanno ricordate la macchina idraulica nata dalle sue conoscenze di meccanica e idrostatica; il palco girevole, creato quando era studente dai Gesuiti nel 1729; l'archibugio ideato nel 1739 e regalato a Carlo di Borbone: si poteva utilizzare indifferentemente con polvere da sparo o ad aria compressa. E per stare in campo bellico, il cannone, straordinariamente più leggero degli altri pezzi di artiglieria ma con una gittata superiore. E poi la carrozza marittima di Posillipo, gemme artificiali, teatri pirotecnici. Inventò il fuoco verde. La sua instancabile curiosità illuminista lo portò a riprodurre in laboratorio il miracolo del sangue di San Gennaro, sperimentazione giudicata dissacrante ed eretica dalla Chiesa, che costò cara al principe, già abbastanza compromesso dopo la pubblicazione della "Lettera Apologetica" e dall'affiliazione alla Massoneria. Delle sue sperimentazioni restano poi le inquietanti Macchine anatomiche. Quel «celebre indagatore dei più reconditi misteri della Natura» non poteva infatti non appassionarsi alla conoscenza della macchina umana. Le macchine anatomiche sono due scheletri di un uomo e di una donna su cui si regge l'intricato sistema cardiocircolatorio di vene e arterie. La convinzione, sorretta da una intramontabile leggenda popolare, per secoli è stata quella che lo stesso principe avesse per così dire imbalsamato quei due corpi, due suoi servi che avrebbe fatto uccidere, per iniettare nelle vene una sostanza misteriosa da lui sperimentata, forse a base di mercurio, per fare solidificare, trasformare il sangue in metallo e preservarlo dalla naturale decomposizione, come invece è avvenuto per il resto del corpo. Studi recenti hanno però dimostrato che gli scheletri sono veri mentre il sistema cardiocircolatorio è ricostruito.

LA VITA DIETRO IL VELO Quella pozione alchemica e misteriosa che trasforma la materia ritorna anche per quel capolavoro dell'arte tardobarocca scolpita da Giuseppe Sanmartino: il Cristo Velato. La straordinaria bellezza di questa scultura nata da un unico blocco di marmo è racchiusa in quella irraggiungibile luminosità che sprigiona il Cristo deposto dalla croce, avvolto da un incredibile sudario trasparente. Un marmo lucente e morbido. Inutile dire che per alcuni secoli attorno a quell'opera d'arte che incantò persino il Canova, si rafforzò la convinzione che Raimondo de Sangro avesse svelato all'autore l'alchimia della calcificazione del tessuto in cristalli di marmo. Per secoli si è creduto che quella miracolosa trasparenza del sudario fosse il risultato di un procedimento alchemico di "marmorizzazione". In realtà non fu così. Giuseppe Sanmartino scolpì un unico blocco di marmo. Ma ancora oggi è facile imbattersi in scritti o racconti che rivitalizzano questa suggestiva leggenda. Giuseppe Sanmartino ebbe l'incarico dal principe di realizzare l'opera, inizialmente commissionata al suo maestro. Don Raimondo infatti chiese ad Antonio Corradini, autore della Pudicizia, scultura presente nella Cappella Sansevero, di realizzare un Cristo Velato. Ma quando il celebre scultore veneto morì (1752), l'incarico fu affidato al giovane artista partenopeo. Lui avrebbe dovuto realizzare "una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua". Per Giuseppe Sanmartino quella richiesta scritta fatta da don Raimondo fu la sfida della vita. Accettò l'incarico e nonostante avesse a disposizione il modello realizzato da Corradini scolpì coraggiosamente un suo meraviglioso Cristo. Nessuna parola può fissare la bellezza e la forza di vita che quel volto protetto da un delicato velo di marmo, trasmette. Sanmartino, come pochi, riuscì a cogliere e fissare l'attimo della vita sotto quel sudario di marmo: l'ultimo fiotto di sangue in una vena che attraversa la fronte di Cristo, fissando per l'eternità la sua vittoria sulla morte.
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