La verità è figlia del tempo, dice un proverbio latino. Ah, i latini. E i greci? Meravigliosi, no? Omero, per esempio. Ecco, Omero. I suoi poemi sono gli atti fondativi della letteratura occidentale, certo. La maestria del verso, le cesure, le similitudini, l'efficacia narrativa, quelle immagini indimenticabili. Certo, però: quella Penelope che se ne sta buona buona a Itaca mentre il marito, partito per guerreggiare, va a zonzo per il Mediterraneo, spinto dagli déi ma anche da quel suo spirito avido di nuove conoscenze e nuovi posti.

Anche la sensibilità (anzi: soprattutto la sensibilità) è figlia del tempo. Così, in effetti, leggere oggi i poemi omerici significa fare i conti con comportamenti e sistemi di valori diversi dai nostri. Peggiori dei nostri, sostiene chi crede che l'uomo sia incamminato lungo un sentiero di progressivo miglioramento: troppa violenza, troppa disparità di trattamento fra maschi e femmine.

Anton Cechov (foto archivio L'Unione Sarda)
Anton Cechov (foto archivio L'Unione Sarda)
Anton Cechov (foto archivio L'Unione Sarda)

Tuttavia Omero è Omero. Mica Ovidio, che cinque anni fa si vide apporre un bollino, manco Le Metamorfosi fossero il disco di un rapper turpiloquente: gli studenti della Columbia University venivano premurosamente avvisati che la lettura di quegli esametri avrebbe potuto turbarli. Ma allora Dante? Nei confronti di Maometto il Sommo non sembra dar mostra di grande spirito ecumenico né (e come potrebbe, del resto?) di relativismo: giù, all'Inferno, confinato nella bolgia dei seminatori di discordie. Né Tasso, nella Gerusalemme Liberata, è più tenero con gli infedeli che occupano il Gran sepolcro: non vi verrebbe comodo leggere certe ottave a voce alta in un autobus gremito di passeggeri islamici. E Mark Twain, che nei suoi libri non chiama "neri" le persone di colore ma usa un altro termine, corrente ai suoi tempi ma oggi messo (giustamente) al bando perché avvertito dai diretti interessati come razzista, offensivo? Anche lui è stato messo al bando dalla stessa scuola del Massachusetts dove qualche mese fa è toccata la stessa sorte, appunto, anche a colui che avremmo immaginato intoccabile: il Capostipite, il Sovrano dei poeti, il padre Omero. "Sono orgogliosa di dire che quest'anno abbiamo rimosso l'Odissea dal curriculum!", ha dichiarato Heather Levine, insegnante alla Lawrence High School. "E io preferirei morire piuttosto che portare in classe La lettera scarlatta di Hawthorne", le ha fatto eco da Seattle un'altra docente, Evin Shinn. Ne ha scritto di recente il Wall Street Journal, a firma Megan Cox Gurdon, rilanciando uno degli aspetti della cosiddetta cancel culture: il disrupt text, sorta di boicottaggio di scrittori avvertiti come non più in sintonia con le sensibilità attuali. Funziona così: poiché l'obiettivo è formare nuove generazioni libere da ideologie negative e discriminatorie nei confronti di qualunque minoranza, si fa in modo che che i giovani e plasmabili studenti non entrino in contatto con testi, anche capolavori, che, sia pure perché scritti in secoli lontani, veicolano come valori il razzismo, l'antisemitismo, il sessismo, la violenza. Un po' come quando, dopo il Concilio di Trento, le figure nude del Giudizio Universale di Michelangelo apparvero sconvenienti e, su incarico di papa Pio IV, il povero Daniele Da Volterra fu incaricato di dipingere, su ciascuno, un pietoso pannetto a coprire i genitali: le famose braghe. Oggi il campo di battaglia non è la Cappella sistina ma le scuole.

Omero (foto archivio L'Unione Sarda)
Omero (foto archivio L'Unione Sarda)
Omero (foto archivio L'Unione Sarda)

Cassa di risonanza, Twitter. Gli Stati Uniti, per via della storia peculiare di quel Paese (genocidio dei nativi, importazione di schiavi africani, secoli di segregazione razziale) e dei numerosi, atroci episodi di violenza contro cittadini di colore che nei mesi scorsi hanno portato all'esplosione del movimento Black Lives Matter, sono l'epicentro. I segnali non sono mancati: nell'ormai lontano 2002 fece un modesto scalpore anche in Italia la notizia che alcuni brani tratti da classici come Anton Cechov e Isaac Singer al centro delle prove per gli esami di maturità di quell'anno erano diversi da come li avevano scritti gli autori. Se ne accorse la moglie di un piccolo editore. Roseanne DeFabi, la responsabile dei programmi del Board of Education, spiegò che erano state fatte alcune «correzioni» per evitare che i ragazzi potessero sentirsi a disagio per via di certi riferimenti, nei passi cassati, a questioni di razza, sesso, religione, violenza, alcol. Censura, insomma. Anche se a fin di bene. A complicare il dibattito, infatti, è la circostanza che la messa all'indice dei libri arriva da un versante progressista, con l'obiettivo di creare giovani migliori dei loro genitori: più tolleranti, meno discriminatori. Anche a costo di privarli di un'occasione di incontro con un testo come l'Odissea, uno dei cardini, da quasi tre millenni, della civiltà occidentale.
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