Di questa foto ci sarebbe poco da raccontare. Perché in fondo dice tutto da sé: i volontari del soccorso sfiniti, addormentati sulle panchine del Santissima Trinità di Cagliari, in attesa che si aprano le porte di un pronto soccorso congestionato oramai da 13 ore. In giorni di contagi da record si crea il caos e il sistema sanitario sardo arranca: è il mix preoccupante della disorganizzazione degli ospedali, della pandemia che corre sempre più veloce e di tante, troppe, imprudenze. Su questa foto, dunque, ci sarebbe poco da discutere. Perché quelli al centro dell'inquadratura, sopraffatti dalla stanchezza, sono uomini e donne che rischiano la vita per salvare gli altri: volontari, gente che ogni giorno fa un altro lavoro e che ha una famiglia cui sceglie di dedicare meno attenzioni e meno tempo libero. Bisognerebbe, forse basterebbe, avere rispetto della loro stanchezza e magari spendere qualche parola per ringraziarli. E invece c'è un mondo virtuale, fatto da persone reali, che ha trasformato questa immagine in un caso. L'oggetto di un polemica gigantesca, odiosa, velenosissima. "Storia di una foto", l'ha definita Manuela Piras la ragazza, pure lei volontaria su un'ambulanza, che questa immagine l'ha scattata, senza cadere nella tentazione del selfie, senza farsi notare da quei colleghi, che spesso sono amici e quasi fratelli, bardati, irriconoscibili e spossati. Manuela Piras quella foto l'ha pubblicata (e per fortuna l'ha pubblicata) non potendo mettere nel conto gli effetti pazzi e imponderabili della comunicazione in tempi di post, like, tweet e retweet. Voleva solo raccontare a tutti, principalmente i suoi amici, come aveva passato quella notte. Voleva, più che altro, far arrivare lontano un messaggio: "Siate prudenti perché il contagio si estende e perché gli ospedali sono intasati". "Dentro la nostra ambulanza - raccontava la volontaria cagliaritana - c' è una signora, è anziana, è positiva al Covid, trema, non può godere del privilegio di una compagnia che la supporti nella sofferenza perché la sua sofferenza fa paura, la sua sofferenza è contagiosa. Noi soccorritori siamo qui a osservare quel minuscolo corpo tremante dentro quella vettura piena di tubicini e lucette. Abbiamo fame, abbiamo sete ma non possiamo svestirci o spostare la visiera, dobbiamo evitare la famigerata contaminazione".

Ci sarebbe da stare almeno un minuto in silenzio. Ma nel tempo del commento a costo (e a rischio) zero è proprio questa l'occasione migliore per scatenare haters, no mask, troll e profili fake. Non lo aveva messo in conto, Manuela Piras, che quelli che leggono spesso capiscono spesso il contrario: distorcono, gli odiatori della rete, traviano gli interlocutori e seminano veleno tra chat, commenti e condivisioni. È un sabato mattina, uno dei giorni in cui il bollettino del contagio che corre tra i quattro angoli della Sardegna fa salire altissimo il livello di allarme. La volontaria pubblica e un giornalista condivide: rilancia, aumenta l'audience, fa circolare veloce il messaggio e l'immagine - così dicono i più appassionati di comunicazione social - diventa virale. Peggio di un virus sì, con la sua carica di contagio e sofferenza. Lo scatto dei volontari è la prima pagina de L'Unione Sarda di domenica, continua a circolare tra Facebook e Twitter, e finisce tra le immagini dei tg della sera. La rilanciano le agenzie di stampa, la pubblicano i quotidiani nazionali e qualcuno dei giornali la pubblica anche sulle sue pagine social. Milioni di visualizzazioni hanno effetti collaterali, in tempi di accoltellamenti virtuali e negazionismo dilagante. Manuela Piras a un certo punto si spaventa e fa sparire per qualche ora il suo post. Ma la foto circola ancora, la valanga di chiacchiere senza senso ha già superato ogni diga. "Basta con questa retorica terrorista", grida qualcuno. "Voi volontari siete complici di questa dittatura sanitaria, andate in giro con le sirene e le ambulanze vuote per spaventare la gente", rilancia qualcun altro. E c'è chi alza pure il tiro delle accuse: "Siete voi, finti soccorritori, che state portando in giro il contagio: chi ve l'ha ordinato? Chi vi paga? Siete al servizio della case farmaceutiche"? Le visualizzazioni aumentano, raggiungono cifre a molti zeri e paradossalmente sarebbe questo il modo migliore per far sapere che bisognerebbe aumentare il livello di attenzione e prudenza. Nelle ore in cui i governatori annunciano il coprifuoco e poi ci ripensano, mentre il governo scrive il Dpcm per un lockdown soft i commenti si fanno sempre più violenti: "Assieme a tantissime attestazioni di stima e supporto, che in verità sono il 90 per cento, arrivano anche tanti messaggi al vetriolo di chi ci ha accusato delle peggiori cose - racconta Manuela Piras ai suoi social-amici - Mi hanno detto che "le ambulanze sono vuote ed è tutto finto" o che "la foto è di marzo", frasi tipo "siete solo dei palombari senza volto che recitano un copione", "state contaminando le panchine", "siete pagati per farlo e non lamentatevi". Il potere dei social - riflette la volontaria cagliaritana che tutta questa ribalta non l'aveva né progettata né sognata - mi ha sempre affascinato ma non avevo mai vissuto su me stessa la sensazione di ingiustizia generata dalla cattiveria di chi si permette di dare interpretazioni personali senza conoscere lo scenario e i fatti realmente accaduti". La tentazione ora sarebbe quella di scrivere ancora, almeno per provare a spiegare meglio e a tutti, ma nella fogna dell'odio social ogni parola in più è l'occasione per far arrivare più lontana la puzza. Travolta da una discussione insensata e velenosa, a un ultimo messaggio Manuela Piras non vuole rinunciare: "Nessuno ci paga, tutti abbiamo un altro lavoro, siamo dei volontari. È una nostra scelta ponderata e consapevole e proprio per questo non ci sogneremo mai di lamentarci o di essere compatiti". Grazie, lo diciamo noi.
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