Il femminicidio è una piaga sociale, tra gli strumenti per porre un freno alla mattanza di donne ci sono i centri di recupero per uomini maltrattanti. La domanda è: servono? La risposta è nella relazione sui percorsi trattamentali per uomini autori di violenza di genere, approvata il 25 febbraio scorso dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dalla senatrice Valeria Valente che parte da un dato: l’85 per cento degli uomini che hanno commesso violenza di genere è recidivo.

“Limitarsi a punire senza attivare un trattamento”, si legge nel documento riportato nei giorni scorsi dallo speciale Longform del quotidiano La Repubblica, “non produce alcun effetto preventivo. La detenzione tende a rinforzare i sentimenti di rabbia, la percezione di sé come vittima, il desiderio di vendicarsi nei confronti della donna, replicando comportamenti violenti ed esponendola a rischi di escalation di violenza”.

Tutto questo, non bisogna dimenticarlo, può produrre effetti devastanti sui figli che assistono ai maltrattamenti in famiglia. Secondo l’Istat “i bambini che assistono alla violenza del padre sulla madre o che l’hanno subita hanno probabilità maggiori di essere autori di violenza nei confronti delle proprie compagne, e le figlie di esserne vittime. Dai dati emerge chiaramente che i maschi imparano ad agire la violenza, le femmine a tollerarla”.

Dunque, i centri per uomini maltrattanti non solo soltanto utili ma necessari. Eppure c’è chi ancora dubita dell’efficacia, soprattuto quando accadono fatti di cronaca inquietanti. Come quello, per fare un esempio recente, di Vicenza dove un uomo ha assassinato la ex compagna e la convivente: era già stato arrestato per maltrattamenti sulla moglie e per sette mesi era stato seguito da un centro specializzato. In questo caso, è evidente, che il centro di recupero non è servito. E D.i.re. - donne in rete contro la violenza - aveva dichiarato a caldo che “i percorsi dedicati ai maltrattanti sono presentati come la panacea di tutti i mali e stanno diventando una sorta di scorciatoia per la riabilitazione dei violenti. Non basta un breve percorso per un cambiamento profondo e per arginare la violenza”.

Partendo da questi differenti punti di vista il longform dal titolo “La casa degli uomini violenti” ha affrontato la questione, senza dimenticare i numeri: i centri di recupero degli uomini violenti nel 2017 erano 70, concentrati nel nord Italia, attualmente non c’è una mappa dettagliata; il governo ha stanziato nove milioni per aprire nuove strutture; il 73 per cento degli uomini che arrivano nei centri di recupero sono italiani, il 40 per cento degli hanno fra i 30 e i 59 anni, il 78 per cento ha una relazione affettiva con una donna.
Ma, come arrivano gli uomini violenti nei centri di recupero? Sono pochi quelli che iniziano spontaneamente il percorso, ed è evidente che la motivazione è importantissima: la gran parte viene inviata dalle forze dell’ordine, dai giudici e dai servizi sociali. Con differenze sostanziali. Le forze dell’ordine non possono obbligarli ma il suggerimento è forte perché riguarda chi si è reso colpevole di stalking, violenza domestica o cyber bullismo.  Solo il giudice può invece decidere di inviare il maltrattante in un centro specializzato e qui c’è da sottolineare che se il soggetto vive questo momento come un obbligo non potrà avere il necessario coinvolgimento, anzi, potrebbe viverlo esclusivamente come il mezzo per evitare la detenzione o alleggerire la pena.

C’è da aggiungere che non tutti gli uomini che iniziano un percorso di recupero lo finiscono. Stando alla relazione della commissione d’inchiesta sul femminicidio un uomo su quattro abbandona. Dunque il tasso è basso, probabilmente perché le leggi richiedono il rispetto del programma per evitare complicazioni processuali. D’altro canto non esiste un dato attendibile su quello che succede dopo, in quanto non ci sono linee guida nazionali: ogni centro ha il suo protocollo e i suoi criteri. Ecco perché non si hanno numeri certi sulle recidive: per averlo bisognerebbe seguire gli uomini una volta completato il percorso di recupero ma tutto questo non è possibile per i centri così come sono oggi organizzati.

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