Quanti sono gli stranieri che risiedono in Italia? Quanti di questi lavorano? Quanto sono determinanti per le imprese italiane? Un recentissimo e ricchissimo rapporto della fondazione Openpolis permette di farsi un’idea ben precisa capace di spazzare via luoghi comuni e pregiudizi, soprattutto in un momento in cui moltissime aziende sono in difficoltà a causa della mancanza di personale. Un problema che sommato alla crisi generale, soprattutto quella causata dal caro energia, porterà entro la fine dell’anno a migliaia di saracinesche abbassate per sempre.

Il dossier parte dal dato numerico di fine 2021, quando i cittadini di nazionalità straniera costituivano circa l’8,5 per cento della popolazione italiana e oltre il 10 per cento della forza lavoro del Paese. Il dato assurdo è che nonostante il loro fondamentale contributo (circa il 9 per cento del Pil nazionale), queste persone si trovano ancora mediamente in condizioni lavorative peggiori rispetto agli italiani. A loro spettano i lavori meno qualificanti, con salari medi inferiori, e si trovano molto spesso coinvolti in situazioni lavorative di sfruttamento. Soprattutto ora che migliaia di lavoratori italiani, forti del sussidio di Stato, ovvero il reddito di cittadinanza, preferiscono rifiutare una marea di lavori. Un esempio? La vendemmia di fine estate è proceduta a rilento per mancanza di lavoratori, un vero incubo per i viticoltori che hanno dovuto vedere andare in rovina tonnellate di prodotto. Un film già visto nei campi ma anche nelle attività ricettive: per tutta l’estate si è assistito alle vane ricerche di personale da parte di hotel, villaggi turistici, bar, ristoranti e locali di ogni tipo. È facile capire il motivo del ricorso al lavoratore straniero, un po’ meno facile accettare che le condizioni di lavoro offerte siano spesso assolutamente inadeguate. Eppure l’offerta è ampissima. Secondo le rilevazioni dell’organizzazione internazionale del lavoro, in Italia il 64,7 per cento dei cittadini stranieri di età superiore ai 15 anni svolge o è alla ricerca di un impiego, contro il 46,6 per cento degli italiani.

Il rapporto di Openpolis dice che «gli stranieri residenti nel nostro paese sono mediamente più giovani degli italiani e questa è una delle ragioni per cui tra loro risulta maggiore la partecipazione alla forza lavoro. In tutto sono circa 2,6 milioni di persone. Nel complesso, costituiscono il 10,5 per cento della forza lavoro del nostro paese. Una quota che secondo il Ministero del lavoro scende a circa il 7 per cento se consideriamo solo gli extra-comunitari». L’analisi effettuata al 30 settembre di quest’anno, dice che oggi il 57 per cento dei lavoratori stranieri risulta occupato. I numeri sono andati gradualmente ad aumentare dal 2010, quando la forza lavoro ammontava a circa 2,2 milioni di persone, fino al 2019 (2,9 milioni). Negli ultimi anni si è verificata una leggera contrazione, a causa della pandemia che ha tenuto nei paesi di residenza milioni di persone, con un calo di circa 271mila persone.

I settori di impiego cambiano a seconda della zona di lavoro ma non sempre i titoli e le competenze che queste persone hanno corrispondono alle mansioni che avrebbe un lavoratore italiano con le medesime caratteristiche. «Sia gli italiani che gli stranieri – si legge ancora nel rapporto - risultano maggiormente impiegati nel settore dei servizi, in particolare le donne. Gli uomini sono largamente impiegati anche nel settore industriale (35,2 per cento degli italiani e 43,3 per cento degli stranieri). Tra gli uomini stranieri risulta particolarmente elevata l'incidenza di lavoratori agricoli (8,9 per cento)». Settore dove, purtroppo, si registrano spesso fenomeni di sfruttamento per quanto sia uno settori dove i contratti sono di breve durata». C’è da registrare anche che «gli stranieri sono più frequentemente impiegati in ambiti poco qualificati (circa il 36,4 per cento), come il lavoro manuale non specializzato. Mentre pochissimi, rispetto agli autoctoni, si trovano in posizioni più elevate da un punto di vista professionale, e quindi anche salariale». Un’ingiustizia sociale che andrebbe sanata con la massima urgenza.

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