È il giallo romano per eccellenza, un mistero irrisolto nonostante siano passati più di trent’anni. E ora le indagini sul delitto di Simonetta Cesaroni, ancora senza un colpevole, si riaprono. I nuovi accertamenti riguardano un sospettato che già all’epoca dei fatti finì nel mirino degli investigatori. L’unica certezza è che non può trattarsi di Raniero Busco, ex fidanzato della ragazza assolto in via definitiva dall’accusa di omicidio nel 2014. Tutte le altre strade restano aperte.

Simonetta Cesaroni aveva 20 anni, viveva con la famiglia vicino a Cinecittà e aveva da poco iniziato a lavorare come segretaria in uno studio commerciale, che aveva tra i suoi clienti l’A.I.A.G. (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù), con sede in via Poma 2, quartiere Prati. Era il 7 agosto del 1990: il corpo della giovane venne ritrovato a tarda sera. Il primo sopralluogo nell'appartamento di Via Poma venne effettuato dal vicequestore Sergio Costa, genero dell’allora capo della Polizia Vincenzo Parisi, in servizio al Sisde all’epoca del delitto. La vittima, uccisa da 29 coltellate, venne trovata seminuda e con il segno di un morso sul collo. Le stanze dell’ufficio erano in ordine e c’erano tracce di sangue sulla maniglia della porta. Non lontano venne rinvenuto un pezzo di carta con uno strano appunto (“Ce”), un pupazzetto a forma di margherita e la scritta “Dead ok”. Un messaggio dell’assassino? Nel 2008 il programma televisivo Chi l'ha visto rivelò che era opera di uno degli agenti di polizia che intervennero la notte del delitto e che lo aveva dimenticato poi là in via Poma.

Sull'omicidio della ventenne romana la parola fine sembrava essere arrivata nel febbraio del 2014 con la decisione della Cassazione, che confermò l‘assoluzione dell’ex fidanzato Raniero Busco. Contro di lui non furono trovate prove in grado di accusarlo oltre ogni ragionevole dubbio di essere l’assassino. Anzi, gli elementi che in primo grado portarono alla sua condanna a 24 anni di carcere, per i giudici della Suprema Corte erano da considerare solo delle congetture. Nelle motivazioni di quella decisione la Cassazione mise in fila tutti i tasselli, dopo le archiviazioni dei procedimenti a carico del portiere dello stabile Pietrino Vanacore (morto suicida) e di Federico Valle, nipote di un architetto che abitava nel palazzo.

Il mistero di via Poma si è intrecciato anche con altri gialli romani. Come quello legato al colpo portato a termine da Massimo Carminati al caveau della Banca di Roma dentro alla cittadella giudiziaria. Venne portato via il contenuto di oltre cento cassette di sicurezza. Tra i proprietari c’erano magistrati, cancellieri, notai. Alcuni legati a doppio filo ai più grandi misteri d’Italia. E c’era anche quella dell’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, presidente dell’Aiag, l’ufficio per il quale lavorava Simonetta Cesaroni. Un caso? Forse.

Chissà se ora si scaverà anche in quella direzione. Da alcuni giorni i pm romani hanno avviato un nuovo procedimento ascoltando una serie di testimoni, tra cui l’allora dirigente della squadra mobile Antonio Del Greco. Tra gli inquirenti la cautela è massima. Le nuove indagini riguarderebbero un sospettato che già all'epoca dei fatti finì nel mirino degli investigatori. Il suo alibi, a distanza di oltre trent'anni, potrebbe essere smentito da nuovi elementi che verranno raccolti dai magistrati per cercare di dare una identità a chi quel pomeriggio si accanì sul corpo di Simonetta.

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