Sembra pollo ma non è. Era solo una questione di tempo. Nei giorni scorsi i media Usa hanno battuto una notizia storica. Sulle tavole degli americani arriva la carne di pollo coltivata in laboratorio a base cellulare.

Il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti, ha infatti approvato la commercializzazione, autorizzando due società della California, Upside Food e Good Meat, a vendere la carne prodotta in laboratorio ai ristoranti. In futuro Questo prodotto sarà a breve nei supermercati. In Europa arriverà qualora la legge lo dovesse consentire.

Entrambe le società avevano già ricevuto il via libera alcuni mesi fa dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti, massima autorità in materia di cibo (sebbene in questo caso i dubbi siano leciti),  che aveva affermato come il pollo coltivato in laboratorio di ciascuna azienda sia “sicuro per il consumo umano”.

Parlano di una "decisione storica" le due start up. "Invece di tutto il terreno e di tutta l'acqua usata per nutrire gli animali che andranno poi al macello, possiamo fare in modo diverso", ha detto Josh Tetrick, co-fondatore di Eat Just, la società a cui fa capo a Good Meat. Qualche tempo fa, il presidente di Slow Food Italia aveva spiegato come fossero gli stessi colossi della carne ad avere investito nella carne coltivata.

"Questa approvazione cambierà radicalmente il modo in cui la carne arriva sulla nostra tavola", ha affermato in una nota Uma Valeti, Ceo e fondatrice di Upside Foods.

Tra coloro che per vocazione ambientalista o pura convenienza economica hanno cominciato il tam tam pubblicitario ci sono numerosi chef.

C’è già chi ha ordinato da Upside Foods il pollo a base cellulare, come Dominique Crenn, unica donna chef tre stelle Usa, che sempre secondo la stampa americana lo servirà in quantità limitate al Bar Crenn di San Francisco, mentre lo chef e a suo dire filantropo Jose Andres ha effettuato il primo ordine per vendere il pollo coltivato di Good Meat e servirlo in un ristorante ancora segreto di Washington, ha affermato la società.

Battaglia

E mentre in America si parla di svolta epocale, oltreoceano, in Italia, si ribadisce il no al cibo prodotto in laboratorio con la nascita di una Alleanza di 39 Organizzazioni - dalle Acli, alle associazioni agricole e ambientaliste, dai consumatori a Slow Food - insieme per produrre un Manifesto "per l'avvio di una battaglia, quella contro il cibo sintetico e artificiale, che è possibile vincere". Italia anche la prima nazione a vietare, con un provvedimento approvato il 28 marzo scorso in Consiglio dei Ministri, la produzione e la vendita di alimenti creati in laboratorio ponendo alla base il principio di precauzione.

Come è fatto?

Ma come è fatta la carne coltivata?

La carne a base cellulare viene prodotta inserendo cellule staminali dal grasso o dal muscolo di un animale in un mezzo di coltura che nutre le cellule, consentendo loro di crescere. Inserito in un bioreattore per supportare la crescita delle cellule, si crea un prodotto finale che ha l'aspetto e il sapore della carne tradizionale. I sostenitori della carne coltivata affermano che è più sana e più rispettosa dell'ambiente rispetto alla carne tradizionale. Mentre secondo altri studi, come quello dell'Università della California, la produzione in laboratorio impatta fino a 25 volte in più sull'ecosistema rispetto agli allevamenti di bovini. La commercializzazione del prodotto coinciderà di certo con dati più certi sull’impatto di questo prodotto. Nel dubbio non vorremmo passare dalla padella alla brace.

Al di fuori degli Stati Uniti, la vendita di carne di coltura cellulare è autorizzata a Singapore in relazione alle solo crocchette di pollo. La carne prodotta da Upside Foods e Good Meat sarà etichettata come "pollo coltivato in cellule". I dubbi soni relativi sia alla parola pollo che alla parola coltivata.

Ma sono diversi gli ostacoli che si trovano ad affrontare le due startup prima che i loro prodotti possano diventare mainstream. Le aziende stanno cercando di capire come creare bioreattori (il fulcro della produzione) abbastanza massicci da consentire loro di raggiungere un'ampia scala. Ma le aspettative sono alte. Entro il 2030, McKinsey prevede che la carne coltivata potrebbe fornire fino alla metà dell'1 per cento dell'offerta mondiale di carne, pari a 25 miliardi di dollari di vendite. Non si sa cosa sia ma conviene di certo a chi la produce.

© Riproduzione riservata