Il calo è costante in tutto il Paese e se non ci sarà un’inversione di tendenza, secondo le proiezioni dell’Istat rielaborate da Openpolis, entro il 2030 i residenti in Italia con meno di 4 anni potrebbero diminuire di oltre l’8%, passando dai quasi 2 milioni e 300mila a meno di 2 milioni e 100. La Sardegna, che con 6,7 nati ogni mille abitanti è la regione dove si fanno meno bambini, tra poco più di un lustro conterà meno di 10mila piccoli di queste fasce d’età. Numeri, quelli dell’Isola e del Paese, che in proiezione metteranno in serio pericolo la tenuta sociale ed economica.

Nel 2022 (dati Istat) sono nati nell’Isola 6,7 bambini ogni mille abitanti (in totale 7.695); un dato che crolla ulteriormente a Oristano (3,55 nati ogni mille residenti, il più basso in assoluto), mentre stanno appena sopra Nuoro (5,00), Sassari (4,96), Quartu Sant’Elena (4,91), Cagliari (4,84) e Carbonia (4,23). Olbia è l’unica città in controtendenza (6,56), comunque sotto la media italiana (6,8 nati ogni mille abitanti, sotto la media europea di 9,1).

Uno scenario preoccupante, ma gli effetti della denatalità si cominciano a vedere già oggi. Il costante calo delle nascite sta mettendo a dura prova l’assistenza sanitaria (più anziani, più malattie croniche, spesa in aumento), l’occupazione (meno giovani, meno forza lavoro), il sistema previdenziale. E se le cronache riferiscono ogni giorno delle imprese che non trovano giovani da assumere, basta leggere i principali indici demografici per capire al volo quant’è grave la situazione. A cominciare dall’indice di vecchiaia, il rapporto tra il numero degli over 65 e dei ragazzi fino ai 14 anni. In Sardegna abbiamo 241 anziani ogni 100 ragazzi, un dato più che raddoppiato nell’arco di vent’anni se pensiamo che ancora nel 2002 – quando i nuovi nati furono 13.155 – il rapporto era di 116 over 65 ogni 100 della fascia 0-14 anni. Interessante anche l’indice di dipendenza strutturale che rileva il carico sociale della popolazione non attiva (ragazzi fino a 14 anni e pensionati) su quella attiva (15-64 anni). Ebbene, nel 2002 su ogni 100 che lavoravano, le persone a carico erano 42; oggi sono diventate 57. Una regione con una forza lavoro erosa e una popolazione anziana in costante aumento: l’età media, che nel 2002 era di 40 anni, oggi è 48.

Il crollo delle nascite è un problema che affligge l’Europa, ma ciò che della Sardegna salta all’occhio è l’andamento accelerato dell’invecchiamento della popolazione, con un numero di nati che già nel 2012 era crollato sotto i 13mila, fino ai nemmeno 8mila del 2022. Oggi oltre un quarto della popolazione è over 65 (il 25,7%), mentre solo il 10,6% è nella fascia 0-14 anni. Luisa Salaris, demografa dell’Università di Cagliari, dice che ormai, «è un problema strutturale: se una popolazione ha come componente sempre crescente quella anziana, il che è anche una buona notizia, non può evidentemente esprimere natalità». In più, «è bassa la propensione a fare figli, e se a questo si aggiunge che è basso anche il dato della popolazione, cioè il numero di quanti potrebbero fare figli, il risultato è catastrofico».

La politica è intervenuta finora soltanto con provvedimenti spot, e tanto tempo è già stato perso. Ma si può cominciare a intervenire, sottolinea la professoressa Salaris, «aiutando le famiglie ad avere fiducia». La politica, dunque, può agire su due fronti. «Sul numero della popolazione, limitando l’emigrazione dei giovani o incentivando l’immigrazione; oppure sulla propensione, agendo sul desiderio di famiglia e sulla fiducia con servizi, aiuti economici, misure che non siano una tantum».

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