Secondo l’lstat quasi sei milioni di persone in Italia vivono in condizioni di povertà assoluta ma, stando a quanto scrive la Corte di Cassazione in una recentissima sentenza (le cui motivazioni sono state depositate pochi giorni fa) nessuno corre il rischio di morire di fame perché in Italia esiste un’organizzazione sociale che garantisce ai bisognosi il sostentamento anche alimentare.

Sulla base di questo assunto gli ermellini hanno respinto il ricorso di un imputato accusato di furto di generi alimentari (peraltro, sottolineano i giudici di legittimità, non aveva allegato gli elementi specifici che integrano la scriminante dello stato di necessità, così come prevista dall’articolo 54 del Codice penale).

Secondo la Suprema corte i giudici di merito  - nel caso specifico – hanno “correttamente ritenuto l’inconfigurabilità di un pericolo attuale di un danno grave alla persona, del requisito della assoluta necessità della condotta e di quello dell’inevitabilità del pericolo non volontariamente causato”, e anche la mancanza di proporzione tra fatto e pericolo, “trattandosi tra l’altro di un ben consistente quantitativo di generi alimentari”.

Nella sentenza si legge che “l’asserita situazione di indigenza non è di per sé idonea a integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale. In effetti si è ritenuto che lo stato di bisogno dell’imputato non possa integrare di per sé la scriminante e che non possa essere riconosciuta al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché la possibilità di ricorrere all’assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l’aiuto degli indigenti ne esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo grave alla persona”.

Ma non è ancora tutto. Secondo la Corte di cassazione “la circostanza della destinazione del bene a soddisfare un bisogno alimentare non esclude la configurazione del furto, trattandosi pur sempre di un bene avente valore economico il cui impossessamento realizza un vero e proprio profitto laddove la destinazione al nutrimento si risolve nell’uso di cui l’autore dell’impossessamento fa del bene”.

E così si arriva a concludere che “in tema di operatività dello stato di necessità, con riferimento al reato di furto di generi alimentari, pur dovendosi ritenere corretta un’interpretazione di tale scriminante che si riferisca all’esigenza di far fronte a un bisogno  - quale certamente può essere anche quello alimentare, la cui mancata soddisfazione in determinate circostanza ben potrebbe compromettere la salute della persona - occorre potere escludere un modo assoluto la sussistenza di ogni altra concreta possibilità, priva di disvalore penale, di soddisfare diversamente quel bisogno evitando il danno altrui”.

Insomma, lo stato di necessità deve consistere in “forze estranee alla volontà dell’agente che costringono costui ad agire in modo contrario al diritto penale per sottrarre se stesso o altri al pericolo di un danno grave alla persona”. Il soggetto, in altri termini, si deve trovare di fronte all’alternativa “o di attendere inerte le conseguenze di un danno inevitabile alla propria o all’altrui persona ovvero di sottrarsi a esso mediante un’azione o un’omissione prevista penalmente dalla legge”. Non può pertanto integrare l’esimente lo stato di bisogno attinente all’alimentazione (eccetto i casi più gravi di indilazionabilità) perché “la moderna organizzazione sociale, con vari mezzi e istituti, appresta agli inabili al lavoro e i bisognosi quanto a essi occorre eliminando il pericolo di lasciarli privi di cure o di sostentamento quotidiano”.

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