Presentandosi alla stampa il nuovo commissario tecnico delll’Italrugby Gonzalo Quesada era stato chiaro sulle tappe del suo percorso ideale: difesa, conquista e solo allora sviluppo della manovra. Un sito specializzato ebbe gioco facile a titolare: Quesada, parola alla difesa.

Non è un caso che grazie a una splendida difesa l’Italia abbia battuto la Scozia. Una squadra forte e rognosa, con molti campioni, scesa all’Olimpico con il ruolo di favorita, partita alla grande, nel corso della prima mezz’ora (tre mete fatte e una subita) ma poi qualcosa è cambiato. Gli scozzesi sono stati imbrigliati, sono stati sparigliati, messi in confusione da un fattore chiave: il vallo difensivo eretto dall’Italia. A rugby i numeri parlano chiaro: la squadra ospite non ha marcato nemmeno un punto nell’arco di 50 minuti, dal 28’ al 78’. Un muro su cui a più riprese hanno cozzato tutti. Perfino Van der Merwe – trequarti ala letale, miglior marcatore del torneo buttato giù da Capuozzo e Lynagh. Si sono dovuti mettere insieme per riuscire nell’impresa. Placcare, placcare, placcare. I numeri dicono che i placcaggi azzurri andati a buon fine nella gara con la Scozia sono stati 212 e quelli scozzesi 131: questo vuol dire che quello scozzese è stato un assedio. Nella ripresa la differenza di mole di gioco imbastita è chiaramente a favore degli scozzesi ma gli azzurri hanno placcato tutto quello che si poteva. Sempre secondo le statistiche la percentuale di placcaggi riusciti premia i nostri avversari: 89,73 per cento contro 85,14. Si può comunque comprendere che, a fronte della quantità dei tentativi di placcaggio, l’efficacia complessiva sia stata un po’ inferiore.

Capitan Lamaro ne ha fatti 26: una cifra da alto livello internazionale, e dietro a lui ci sono altri due azzurri: Vintcent a quota 18 e Ruzza a quota 17. Al quarto posto, con 16 placcaggi, il tallonatore scozzese Turner. Nove in tutto gli italiani in doppia cifra, sei gli scozzesi. Ma la parola chiave, su cui tutti i commentatori sono stati d’accordo è disciplina. Negli ultimi due minuti la Scozia ha giocato 24 fasi palla in mano (la palla deve essere inattiva perché si possa fischiare la fine). L’Italia sempre in difesa non ha commesso neppure un fallo. Il teorema Quesada viene evidenziato da quella che è sempre stata una concessione dell’Italia agli avversari, spesso dotati di kicker eccezionali: le punizioni. Alla Scozia ne ha concesse solo cinque.

L’Italia ha centrato i pali quattro volte (Garbisi 3, Page-Relo 1) contro l’unico calcio firmato da Russell. La vittoria è stata storica anche in fatto di punteggio: tre mete portano al terzo miglior bottino azzurro nella storia del Sei Nazioni, con 31 punti. Quota 30 era stata raggiunta o superata solo in altre tre occasioni e l’ultima risaliva addirittura al 2007, al 37-17 con cui l’Italia ottenne in Scozia la prima vittoria esterna di sempre nel torneo. Con la Scozia era stata l’ultima vittoria nel torneo, a Murrayfield, nel 2015, prima di nove anni di assurde sofferenze. A Parigi, nel terzo turno, si era visti segnali di ripresa, con il palo all’ultimo secondo che aveva privato gli azzurri di una vittoria meritata. Pazienza. Quella che i tifosi del rugby hanno sempre avuto e giustifica l’entusiasmo, anche se la vera speranza è riposta nei gioielli della cantera. Gli azzurrini che stanno facendo un grande torneo, vincendo con Francia e Scozia.

E adesso all’orizzonte c’è Cardiff, Municipality Stadium. Negli ultimi minuti della gara persa malamente con la Francia i 70 spettatori cantavano tutti insieme. Il Galles è ultimo in classifica con neppure una vittoria all’attivo. Se l’Italia cercava una degna avversaria per dimostrare di essere cresciuta l’ha trovata. I gallesi, in fase di rinnovamento, daranno l’anima. Vincere a Cardiff vorrebbe dire il miglior piazzamento di sempre nel torneo, con due vittorie e un pareggio e una grande fiducia per il futuro.

© Riproduzione riservata