Hanno aderito in 55: pubblici ministeri e giudici. Si sono fatti rinchiudere volontariamente in una cella e lì sono rimasti per 24 ore facendo la vita dei reclusi. Niente cellulare, stessi pasti, stesse attività, stessi orari degli altri, pure le visite dei familiari. L’obiettivo? Comprendere meglio che cosa significhi essere privati della libertà personale e come si svolge fare la vita quotidiana dei detenuti. Insomma, vedere com’è.

No, non è successo in Italia ma in Belgio, presso il carcere di Haren, a Bruxelles.

Il ministro della Giustizia belga Vincent Van Quickenborne ha commentato l’esperimento sottolineando che ovviamente i magistrati sanno come funzionano le cose in un carcere, ma «viverle in prima persona offre loro un’opportunità unica che può aiutarli a emettere sentenze con piena cognizione di causa».

Secondo il componente del governo l’esperimento dei magistrati che hanno vissuto in carcere seppure per sole 24 ore dovrebbe aiutare a preparare meglio l’apertura del nuovo penitenziario,  il 30 settembre: alla luce di quanto visto e toccato con mano daranno il loro contributo al fine di migliorarne la disposizione e lo sviluppo.

La nuova struttura è una sorta di villaggio carcerario, si snoda cioè lungo una serie di edifici distribuiti in un’area abbastanza grande all’interno della quale ci sono anche un palazzetto dello sport e diversi laboratori.

 «Questa immersione – ha sottolineato Rudy Van de Voorde, direttore generale degli istituti penitenziari - offre ai magistrati che condannano le persone al carcere l’opportunità di sperimentare cosa significa privazione della libertà».

La notizia è stata riportata anche da varie testate italiane, alcune specializzate in diritto, e commentata tra gli altri da Vincenzo Giglio e Riccardo Radi sul  blog “Terzultima fermata”. E proprio i due esperti hanno voluto ricordare le parole di Piero Calamandrei, il 27 ottobre 1948, in occasione della presentazione di un ordine del giorno che istituisse una commissione d’inchiesta sulle carceri e le torture nelle carceri. Il discorso al Parlamento fu pubblicato sulla rivista Il ponte sotto il titolo “Bisogna averlo visto”: «Bisogna vedere, bisogna starci. Per rendersene conto. Ho conosciuto a Firenze un magistrato di eccezionale valore che i fascisti assassinarono nei giorni della liberazione sulla porta della Corte d’appello, il quale aveva chiesto, una volta, ai suoi superiori il permesso di andare sotto falso nome per un mese in un reclusorio, confuso con i carcerati, perché soltanto in questo modo egli si rendeva conto che avrebbe capito qual è la condizione materiale e psicologica dei reclusi, e avrebbe potuto poi, dopo quella esperienza, adempiere con coscienza a quella sua funzione di giudice di sorveglianza, che potrebbe essere pienamente efficace solo se fosse fatta da chi avesse prima sperimentato quella realtà sulla quale doveva sorvegliare. Vedere! Questo è il punto essenziale».

Sembra quasi che i giudici belgi abbiamo letto, riletto e fatto proprie quella antiche ma attuali parole prima di inaugurare un nuovo penitenziario per 1.200 detenuti. Il ministro della Giustizia nel dare la notizia  aveva spiegato al prestigioso quotidiano francese Le Figaro che i volontari sarebbero rimasti in carcere dalle 9 di sabato alle 16 del giorno successivo. Con un trattamento identico a quello dei detenuti, compreso l’obbligo di uniformarsi alle istruzioni del personale penitenziario.

Tra l’altro i magistrati volontari hanno dovuto svolgere le attività obbligatorie per tutti i reclusi, a cominciare dai lavori in cucina e in lavanderia. E poi, alle 22 luci spente dappertutto.

Radi e Giglio hanno giustamente ricordato che i 55 volontari non sono rimasti stipati in celle affollate senz’acqua calda e con bagni alla turca esposti alla vista delle guardie, né sono stati costretti a lunghe file per il permesso di vedere i familiari, non correvano neppure il rischio di essere picchiati o torturati e, in caso di necessità, il  medico ci sarebbe stato subito. Senza dimenticare che non avrebbero sofferto di claustrofobia perché potevano chiedere di uscire in qualunque momento. Però, l’esperimento è senza dubbio positivo.

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