Lunghe e alte praterie verdi si perdono nei fondali marini. Sono le piante di Posidonia oceanica, specie endemica del Mediterraneo e fondamentale per la salvaguardia degli ecosistemi. Da tempo però la posidonia è minacciata da inquinamento, costruzioni marittime e più in generale dall’azione dell’uomo che con i più svariati interventi mette a serio rischio la specie. La Fondazione Medsea, impegnata nella tutela e la conservazione degli ecosistemi marini e costieri del Mediterraneo, ha dato vita al progetto “Una foresta per salvare il pianeta” con l’obiettivo di tutelare e mettere di nuovo a dimora queste piante preziosissime per il mare. La Posidonia oceanica infatti costituisce l’habitat di insediamento, riparo e nutrimento per i pesci e area per la loro riproduzione; è capace inoltre di ridurre l'impatto delle onde e l’erosione delle coste, di assorbire ampie quantità di anidride carbonica contribuendo a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

La crisi è in corso in tutto il Mediterraneo:  si stima che negli ultimi cinquant’anni circa il 46 per cento delle praterie del Mar Mediterraneo abbia subito una riduzione dell'estensione, della densità o della copertura e il 20 per cento sia gravemente regredito. Dati confermati anche in Sardegna dove, secondo le stime dei tecnici di Medsea di 170 mila ettari di praterie di  Posidonia oceanica, il 14 per cento risulta danneggiato.  Gli esperti ritengono sia indispensabile intervenire prima che la situazioni precipiti e si arrivi all’emergenza. La perdita delle piantine, che crescono all’anno appena uno o due centimetri, sarebbe un danno immenso.

“La degradazione delle praterie può essere ricondotta a numerose cause, quasi esclusivamente di origine antropica come l’ancoraggio non regolare sulle distese di Posidonia, la pesca a strascico, lo sviluppo costiero come la costruzione di porti, dighe, barriere frangiflutti” spiega Francesca Frau, biologa e responsabile dei progetti di riforestazione di posidonia oceanica della Fondazione Medsea. “Tutte queste cause possono modificare il flusso delle correnti, le onde e determinare il trasporto di sedimenti che finiscono per seppellire la prateria e favorire la sua regressione. Oppure possono aumentare la torbidità delle acque influenzando negativamente la capacità di fotosintesi della pianta”.

Isola di Mal di Ventre (foto Archivio Unione Sarda)
Isola di Mal di Ventre (foto Archivio Unione Sarda)
Isola di Mal di Ventre (foto Archivio Unione Sarda)

Per questo la Fondazione sarda Mediterranean Sea and Coast Foundation ha avviato i progetti di riforestazione che prevedono la messa a dimora di 1 milione di nuove piantine di  Posidonia oceanica  nel Mar Mediterraneo entro il 2050. In questa direzione vanno anche le iniziative partite qualche settimana fa nel Sinis dove sono iniziati i lavori di riforestazione e Medsea sta ripristinando 300 metri quadrati di area degradata di prateria, circa 6000 piantine. Il progetto è finanziato da Mava ed è realizzato dalla Fondazione in collaborazione con l’Area marina protetta “Penisola del Sinis - Isola di Mal di Ventre”. Il lavoro consiste nel trovare l’area migliore per ricreare la prateria, con l’utilizzo di un drone subacqueo. Poi si procede alla riforestazione e per i cinque anni successivi le piantine verranno monitorate durante la crescita.

Altri due progetti partiranno a breve e porteranno al ripristino rispettivamente su 250 metri quadrati a Villasimius (nell’Area Marina Protetta di Capo Carbonara) e su altri 400 a Domus de Maria. Durante quest’anno MedSea metterà a dimora complessivamente 20.000 nuove piantine su 1.000 metri quadrati di fondale marino.

La Fondazione, presieduta da Alessio Satta, infine fa appello ad aziende, enti pubblici e privati e istituzioni che vogliono impegnarsi in progetti di sostenibilità ambientale, con particolar attenzione verso il mare. Medsea intende mettere a disposizione porzioni di fondale marino pari a 100 metri quadrati (le cosiddette Unità Funzionale Minima ) e con l’acquisto di una di una di esse si potrà contribuire alla messa a dimora di 2.000 piantine, con una capacità di catturare oltre 400 chili di anidride carbonica all’anno.

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