‘O ciucciariello di Vietri è un asinello sardo
Fu Richard Dolker, nella prima metà degli anni Venti del Novecento, a innamorarsi della figura dell’animale isolano e a trasformarlo in un’icona artisticaMentre la pavoncella, leggiadra e stilizzata, veniva eletta a simbolo iconografico della Sardegna, lui, così svilito nella sua terra, è diventato una star altrove. Nessuno è profeta in patria, nemmeno l’asinello sardo, da tempo il souvenir più venduto nelle mille botteghe della Costiera amalfitana, simbolo della tradizione artigiana del posto e marchio riconosciuto in tutto il mondo. Non c’è turista che, trascorsa una vacanza a Vietri, vada via senza un asinello di ceramica.
Uno potrebbe mai immaginare che ‘o ciucciariello non è altro che il laborioso, onesto e plebeo asino sardo? Fu Richard Dolker, nella prima metà degli anni Venti del Novecento, a innamorarsi della figura dell’asinello isolano e a trasformarlo in un’icona artistica.
Durante un viaggio in Sardegna, l’artista tedesco - che dopo la prima guerra mondiale, come molti altri ceramisti e scultori aveva lasciato la Germania per stabilirsi a Vietri sul Mare - era rimasto affascinato dalle donne che intrecciavano i giunchi per farne cestini, dalle processioni col santo, dalle barche dei pescatori e dai piccoli muli che trottavano carichi come navi merci.
Al rientro in Campania, rivide gli schizzi sul taccuino e pensò che quel minuscolo mulo poteva diventare qualcosa di grande. Ne parlò dunque col titolare della fabbrica Avallone, la più antica della cittadina, dove già aveva lavorato come pittore di piatti, e alle scene tradizionali vietresi aggiunse il nuovo modello.
In pratica, fu grazie all’asinello sardo che nacque la scuola tedesca di ceramica di Vietri. Richard Dolker pensò che il ciuchino poteva ambire anche a dare forma a una scultura, allora appannaggio di animali ben più prestanti tipo leoni, cavalli impennati e via. Forgiò così un piccolo asinello di colore verde brillante, alto appena otto centimetri, le orecchie lunghe e le gambe sbilenche, come piegate da un carico pesantissimo. Fu un successo immediato e strabiliante, tanto che ben presto tutti gli artigiani del paese avviarono la produzione di ciucciarielli di ogni colore e di ogni foggia.
Negli anni Trenta anche Irene Kowaliska, ceramista di origine polacca (nonché artefice della moda Positano), arrivò in Sardegna su suggerimento dell’amico Richard Dolker. Inutile dirlo, pure lei - creatrice di uno stile figurativo che rievoca le scene di vita della costa amalfitana - si invaghì dell’asinello isolano. E così - mentre in Sardegna vige la dittatura iconografica della pavoncella, ormai inchiodata pure nelle copie malfatte di tazze e piatti - a Vietri del nostro piccolo mulo ne hanno fatto un’icona, un marchio di qualità.
L’asinello sardo - versioni con e senza carro, con e senza carico - sta nella vetrina con tutto il bestiario della tradizione artigiana vietrese: caprette, elefanti, alci che rimandano all’impronta della scuola tedesca.
E dire che in Sardegna dura da secoli una grande passione per le piastrelle e le stoviglie di Vietri. Fin dal Settecento la pavimentazione delle case nobiliari, e quella di molte chiese, come il Duomo di Alghero e il tempio di Mamoiada, veniva fatta con le maioliche della costa amalfitana. E nell’Ottocento le navi scaricavano nell’Isola le casse con i piatti dai colori brillanti che piacevano agli aristocratici e ai borghesi. Tante le collezioni in giro per la Sardegna, tra le più straordinarie quella di piatti vietresi conservata a Onanì dal Priorato di San Bachisio.
Quanto al nostro asinello, da cent’anni esatti si è fatto un nome altrove. È diventato un souvenir ricercato dai viaggiatori collezionisti, il simbolo di un luogo al pari del Colosseo di Roma, della Tour Eiffel di Parigi, della gondola di Venezia.