Non potrà godersi le medaglie d’oro, ma d’altra parte non potè neppure godersi i proventi del film (Pelle di rame, del 1951) in cui un mostro sacro di Hollywood come Burt Lancaster lo interpretò facendone rivivere le gesta, dato che li aveva già incassati e spesi anni prima. Jim Thorpe, uno dei più grandi sportivi di tutti i tempi, è morto nel 1953, ma la sua leggenda sportiva vive ancora e, da qualche settimana, è libera anche dalle ultime (peraltro abbastanza inconsistenti) ombre. Il Comitato Olimpico Internazionale gli ha restituito la titolarità piena ed esclusiva dei successi ottenuti alle Olimpiadi del di Stoccolma 1912 nel pentathlon e nel decathlon.

La vicenda

Thorpe aveva dominato le due prove, al debutto nel programma olimpico proprio nell’edizione svedese dei Giochi, la quinta dell’Era Moderna. Nel pentathlon aveva battuto il norvegese Ferdinand Bie, nel decathlon uno svedese, Hugo K. Wieslander. Due gentiluomini, come si conviene a quell’epoca decubertiana, nella quale certi valori erano considerati assoluti. Tra questi, però, c’era anche quello altrettanto radicale del dilettantismo. A Thorpe fu contestato di aver macchiato il suo status di “puro” partecipando a una lega minore di baseball nella quale percepiva uno stipendio (da 15 a 25 dollari settimanali). Così, sette mesi dopo quei netti successi ai Giochi (ben oltre i 30 giorni del limite di tempo per la presentazione dei ricorsi), gli ori gli furono revocati, anche se i suoi rivali ritennero sempre legittime e meritate le vittorie. Negli anni Settanta, la federazione americana di atletica (A.A.U.) riabilitò la figura di Thorpe, al punto che nel 1982 anche il Cio si persuase delle ragioni dei sostenitori del campione, riassegnando i due ori (consegnati nel gennaio 1983 a uno dei suoi figli), pur senza toglierli ai due scandinavi secondi classificati. Finalmente, il 22 luglio di quest’anno, nel 110° anniversario di quelle vittorie, il Comitato Olimpico ha fatto cadere l’ultimo dettaglio, proclamando l’americano come unico vincitore di quelle medaglie d’oro. Una decisione che ha premiato gli sforzi dei tanti sostenitori di Thorpe, a cominciare dall’associazione Bright Path Strong (Sentiero lucente forte).

Il norvegese Karsten Warholm nel 2020 allo stadio di Stoccolma che ospitò i Giochi del 1912 (Ansa)
Il norvegese Karsten Warholm nel 2020 allo stadio di Stoccolma che ospitò i Giochi del 1912 (Ansa)
Il norvegese Karsten Warholm nel 2020 allo stadio di Stoccolma che ospitò i Giochi del 1912 (Ansa)

La leggenda

Jim Thorpe è nato in una riserva indiana dell’0klahoma nel 1888, aveva anche sangue irlandese (per parte di padre) e il suo nome da nativo era Wa Tho Huch (“sentiero lucente” appunto). Il nome sui documenti ufficiali era invece Jacobus Franciscus, ma fu sempre conosciuto come Jim. La sua infanzia di pellerossa fu piuttosto movimentata e di sicuro non agiata. Crescendo, le sue doti atletiche formidabili si rivelarono, consentendogli di studiare e gareggiare. Era talmente dotato in ogni tipo di sport che fu chiamato a rappresentare gli Stati Uniti alle Olimpiadi nelle gare multidisciplinari dell’atletica. Pochi anni prima, però, aveva accettato di giocare a baseball in una lega minore dell’East Carolina, per poter mantenere sua madre. Un fatto che non negò mai ma che gli costò gli ori olimpici. Giocò ancora a baseball e poi anche a football americano, ma la vicenda di Stoccolma lo segnò profondamente. Visse di piccoli lavoretti, povero, dimenticato, sino alla sua morte, avvenuta a Lomita (California) nel 1953, a 65 anni. Soltanto dopo, e soprattutto oggi, la storia di “sentiero lucente” risplende del fulgore che merita quello che, premiandolo, re Gustavo V di Svezia, definì giustamente “il più grande atleta del mondo”.

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