Se è vera anche solo la metà delle cose che si dicono, il Metaverso sarà una rivoluzione tale che, al confronto, l’avvento di Internet apparirà poca cosa. E dire che la rete ci ha cambiato la vita, consentendo forme di comunicazione e conoscenza impensabili. Ma ora si annuncia una dimensione del tutto diversa, quasi un altro mondo, nel quale – grazie a visori oculari e guanti tattili che riprodurranno le principali sensazioni fisiche – avremo l’illusione di incontrare persone e frequentare luoghi lontani da noi. Anzi, di esservi letteralmente immersi. E sui territori inesplorati di quel nuovo mondo è già iniziata una guerra meno cruenta di quelle vere, ma non meno aspra. Perché ora la vera domanda è: chi gestirà il Metaverso? Sarà una piattaforma unica o ne esisteranno molte, in concorrenza? E nel primo caso: chi detterà le regole?

Per certi aspetti sono problemi già emersi con Internet e i social network, e infatti c’è chi immagina soluzioni simili. Oggi in teoria la rete è abbastanza libera, ma di fatto controllata da pochi operatori: soprattutto Google, e Facebook per l’ambiente social. Non è irragionevole ipotizzare un assetto ancor più oligopolistico nel Metaverso, perché la realtà virtuale e aumentata richiederà infrastrutture immateriali (i software) molto raffinate e quindi più costose da progettare.

Infatti i protagonisti della guerra per il controllo del nostro futuro, e ovviamente dei nostri dati, stanno già schierando le loro armate. Mark Zuckerberg è quello che più di tutti ha scoperto le carte, al punto da modificare in “Meta” il nome della sua società che controlla Facebook (la precedente ragione sociale), Instagram, WhatsApp, Messenger e altro ancora, tra cui Oculus Rift, produttrice dei visori.

Mark Zuckerberg: il fondatore di Facebook ha ribattezzato la sua società "Meta" (foto Epa/Archivio US)
Mark Zuckerberg: il fondatore di Facebook ha ribattezzato la sua società "Meta" (foto Epa/Archivio US)
Mark Zuckerberg: il fondatore di Facebook ha ribattezzato la sua società "Meta" (foto Epa/Archivio US)

Ma molti altri si stanno attrezzando per controllare Metaverso (o “il” Metaverso: per ora prevale l’uso con l’articolo, sia in italiano che in inglese, ma non è detto che resista). Microsoft sta sviluppando due progetti distinti, tra cui uno più calibrato per le aziende. Tra le altre possibili piattaforme si parla molto di quella di Roblox, collegata al videogioco basato sulla creazione di mondi virtuali, e Decentraland, nata da due sviluppatori argentini ma gestita da un sistema più “democratico” (fino a un certo punto: le decisioni organizzative si prendono con vere e proprie votazioni, però ha più voti chi acquista più “land”, ossia gli appezzamenti di terreno virtuali).

Mondi differenti che parlano tra loro

“Io nel Metaverso vedo una capitalizzazione estremamente fine, scaltra e tempestiva di ciò che già esiste, in vista di un grande business”, riflette Gianni Fenu, prorettore vicario dell’Università di Cagliari e docente di informatica: “È un modo per mettere insieme tecnologie come realtà virtuale, realtà aumentata, 3D, la clonazione di se stessi tramite avatar e tridimensionalità diretta”. Quello anticipato da Zuckerberg, in particolare, “è un progetto di un’ambizione sfrenata. Per poterlo realizzare bisogna mettere in piedi, per tutto il mondo degli sviluppatori a qualsiasi livello, una struttura con eccezionale flessibilità e potenza programmatoria gigantesca, per creare mondi differenti che parlano tra di loro. Infatti Meta ipotizza l’assunzione di decine di migliaia di informatici e ingegneri, e tecnicamente sarebbe anche in grado di farlo”.

Gianni Fenu, docente di informatica e prorettore vicario dell'Università di Cagliari (foto Archivio US)
Gianni Fenu, docente di informatica e prorettore vicario dell'Università di Cagliari (foto Archivio US)
Gianni Fenu, docente di informatica e prorettore vicario dell'Università di Cagliari (foto Archivio US)

È legittimo provare un rifiuto verso questi discorsi, anche perché non è facile immaginare in astratto cosa sarà davvero il Metaverso: lo capiremo meglio quando inizieremo a sperimentarlo. Magari ha ragione chi pronostica che si rivelerà un flop, una delle tante evoluzioni tecnologiche incompiute. Però molti lo pronosticavano anche per Internet. Molto dipenderà da quanto saranno realistiche le esperienze garantite dagli strumenti tecnici.

Se non si sgonfierà, Metaverso potrebbe diventare una dimensione imprescindibile per ciascuno di noi, come oggi è la rete: per esempio, le riunioni di lavoro in un futuro non troppo lontano potrebbero svolgersi nella modalità della realtà virtuale. Non è difficile ipotizzare ulteriori frontiere da superare, tali da incidere addirittura sulle nostre scelte abitative e sulle questioni urbanistiche. Forse la tecnologia mi consentirà di partecipare alle lezioni dell’università di Stanford rimanendo seduto nel mio soggiorno a Guspini, ma avendo la sensazione di avere il docente proprio qui davanti a me e potendo interagire con lui pienamente: compresa la stretta di mano, grazie ai guanti di cui si è detto prima, e senza neppure rischiare di contagiarsi il Covid (la pandemia, è evidente, sta accelerando gli investimenti su tutte le tecnologie “tele”-qualcosa). Roba da film? Sì, ma non più un film di fantascienza: “Una società giapponese – riprende Fenu – ha già creato dei monitor su cui si può agire a distanza muovendo le dita nell’aria, come faceva Tom Cruise in Minority Report”.

Scenari positivi e negativi

Le conseguenze di simili evoluzioni sono potenzialmente infinite, sia in positivo che in negativo. Per dirne una: con le riunioni a distanza, l’azzeramento sostanziale delle trasferte di lavoro farebbe bene ai bilanci delle aziende e anche all’ambiente. Ma potrebbe sottrarre posti di lavoro al settore alberghiero, e forse costringere le compagnie aeree, per compensare la riduzione del traffico, ad applicare tariffe più alte, rendendo più elitario il turismo.

“Il business e l’istruzione saranno centrali nel Metaverso”, prevede ancora Fenu, “ma un terzo pilastro è la necessità di dare a ciascuno un mondo personalizzabile, in cui esisteremo con la figura che ci piace di più: per cui chi è grasso non sarà grasso, il pelato avrà i capelli e così via”. Niente che non avesse già previsto David Foster Wallace nel 1996 con le “interfacce telefoniche visuali”, per altro. Inoltre, dagli avatar possono scaturire altre forme di business: il nostro alter-ego avrà per esempio l’esigenza di vestirsi con cura, e anche indumenti e accessori saranno probabilmente degli oggetti virtuali da acquistare.

Una ragazza indossa un visore 3D (foto Archivio US)
Una ragazza indossa un visore 3D (foto Archivio US)
Una ragazza indossa un visore 3D (foto Archivio US)

“In tutto questo c’è un aspetto etico che non può essere trascurato”, sottolinea il professore. “L’uomo vive e si migliora perché è un animale di relazione. Se togliamo quel modello di relazione in maniera così sistemica, il risultato non potrà essere indolore. Del resto, ci sono già tanti casi di persone che sono rimaste turbate psicologicamente, alcune fino alla morte, annegandosi totalmente in una realtà virtuale. Perché hanno perso ogni contatto con la realtà fisica. È un rischio latente. Una cosa è il divertimento; altra è se questa dimensione diventa un modello simulativo della mia intera esistenza, per cui lavoro in un mondo parallelo, mi muovo in un mondo parallelo, creo le mie relazioni in un mondo parallelo”. Anche perché, alla fine, ci sarà sempre un momento in cui dovremo spegnere il visore, e ci ritroveremo sul nostro divano sdrucito, o in un tinello che avrebbe bisogno di essere ritinteggiato, con i vicini che fanno rumore e il bidone dell’umido che aspetta di essere portato giù. È la vita, e non c’è Metaverso che ce la possa cambiare.

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