Nella scuola italiana classista (tra liceo, tecnico e professionale) e con un evidente squilibrio territoriale (Nord-Sud), c’è anche un gigantesco divario di genere che penalizza le ragazze. Lo svantaggio riguarda le competenze nelle materie Stem (acronimo per scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), e se la notizia non è nuova, ciò che salta all’occhio è la mancanza di interventi volti a colmare il divario.

L’ultima indagine internazionale Ocse-Pisa (che valuta le competenze e le conoscenze degli studenti quindicenni e che ha censito il sistema scolastico di 81 nazioni) ha rilevato che in nessun altro Paese il gap tra femmine e maschi in matematica è così evidente come in Italia. La distanza tra studenti e studentesse è di ben 21 punti, la più ampia a livello mondiale (la media Ocse, per fare un confronto, è di soli 9 punti).

Va detto che, in generale, i risultati in matematica degli studenti italiani di seconda superiore sono in linea con la media dei Paesi Ocse: 471 punti contro 472. C’è stato un miglioramento rispetto ai test degli anni passati, ma se è impietoso il confronto coi più bravi (a Singapore il punteggio medio è di 575 punti, Cina e Giappone di poco sotto), restiamo comunque distanti dai primi della classe europei: Estonia (510 punti), Paesi Bassi (493 punti), Inghilterra (489 punti). Non siamo invece troppo indietro a Germania (475), Francia (474) e Spagna (473), Paesi dove i dati sono peggiorati, ma da in Italia resta il problema - in nessun'altra parte al mondo così pronunciato - del divario di genere in matematica.

Infatti, in tutto il mondo, ormai da decenni, i programmi scolastici sono pensati per indirizzare anche le ragazze allo studio delle materie Stem, mentre in Italia ciò non è stato fatto. Tanto di questo problema viene da uno stereotipo che resiste e che vuole i ragazzi «più portati per calcoli e soluzione ai problemi pratici», e le ragazze «più portate per le materie umanistiche». Laura Palmerio, responsabile Area indagini internazionali dell’Invalsi, ha spiegato che il divario tra alunne e alunni nello studio della matematica si comincia a vedere già alle elementari. «Forse», ha sottolineato, «dipende anche dal modo in cui la matematica viene insegnata».

Peccato, perché tante battaglie delle donne, ieri come oggi, sono passate e passano per il potenziamento dello studio delle materie scientifiche, quelle che offrono migliori percorsi di carriera, riconoscimento del merito, parità salariale, e, quantomeno nei settori tecnologici, importanti retribuzioni. Le donne iscritte all’Università erano mosche bianche fino agli anni Venti (il 10% del totale degli iscritti); hanno fatto un balzo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta; hanno pareggiato gli uomini nell’anno accademico 1990-’91, fino a che nel 1992 le laureate hanno superato i laureati, tendenza che non è più cambiata. Tutto bello, peccato però che - se guardiamo alla scelta delle facoltà - viene fuori che le iscritte ai percorsi di studio scientifici sono passate dal 31,9% del totale delle studentesse nel 1950-’51, al 12,2% delle universitarie di cinquant’anni dopo, nel 1997-’98. E la tendenza non è cambiata. Insomma, le donne laureate battono i colleghi maschi. Ma hanno dimenticato la lezione delle ragazze che, coi libri di scienza, rivendicavano pari diritti.

A partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento furono proprio le scienze ad accompagnare - dopo secoli di emarginazione - la scalata delle donne all’istruzione superiore, mentre cresceva il movimento per il riconoscimento dei diritti civili e politici. Un contributo è arrivato anche dalla Sardegna: esattamente un secolo fa, negli anni Venti del ’900 - l’Università di Cagliari rappresentava in Italia un caso straordinario: l’Istituto di matematica, per esempio, era diretto da Pia Nalli, e due dei quattro ricercatori erano donne (Silvia Mathis e Giorgina Madia). Giulia Martinez era la direttrice dell’Istituto di mineralogia, Eva Mameli Calvino dell’Orto botanico, e Rita Brunetti dell’Istituto sperimentale di fisica, dove Teresa Mundula era l’aiuto e Zaira Ollano assistente.

Non è vero dunque che la debole propensione delle studentesse di oggi per le materie Stem sia una questione che ha radici antiche. Vero è che nasce da uno stereotipo di genere, dai condizionamenti sociali ed educativi che però sono questione degli ultimi decenni, quelli in cui, nonostante la conquista di una relativa parità (almeno sulla carta), le donne - anche se generalmente più istruite dei maschi - si sono ritrovate svantaggiate nei percorsi di carriera, nella retribuzione, nei carichi della cura familiare.

© Riproduzione riservata