“Immaginate di tornare a casa vostra e di trovare un costruttore legato alla mafia lì davanti. Immaginate che vi dica che quella non è casa vostra, ma sua. E che qualche anno dopo ve la danneggi gravemente per costruisci accanto un palazzo più grande.

E immaginate di dover aspettare trent'anni prima che un tribunale via dia ragione. Immaginate che dopo tutto questo vi riconoscano un compenso per i danni, che però nessuno vi pagherà mai perché nel frattempo il costruttore è stato condannato perché legato alla mafia e lo Stato gli ha sequestrato tutto. E immaginate che di quella somma che non riceverete mai l'Agenzia delle entrate vi chieda il tre per cento”.

E' l'incipit di “Io posso, due donne sole contro la mafia”, scritto da Pierfrancesco Diliberto, noto Pif, autore tv, regista, scrittore, conduttore radiofonico, e Marco Lillo, giornalista d'inchiesta e vice direttore del “Fatto”.

Il libro racconta la storia vera di Maria Rosa e Salvina Pilliu, due donne ogliastrine trapiantate a Palermo che da sole hanno resistito per decenni alla protervia, all'arroganza e alle intimidazioni di mafiosi che volevano acquistare la loro casa per costruire un palazzo. Uomini convinti di potere agire al di sopra della legge - “Non si può? Io posso” è una frase tipica del potere mafioso - che quando hanno capito che le sorelle Pilliu la loro casa non l'avrebbero mai ceduta se la sono intestata illegittimamente in un contesto di connivenze, corruzione, istituzioni pavide, banchieri generosi, boss e complici apparentemente puliti.

Maria Rosa e Savina Pilliu sono figlie di Giovanni Pilliu e Giovanna Aresu. Lui, sergente maggiore di Lanusei, nel '43 viene inviato dall'esercito a Palermo dove due anni dopo conosce Giovanna, anche lei figlia di sardi emigrati in Sicilia. I due si fidanzano, qualche anno dopo si sposano e vanno a vivere a Lanusei. Poi lei litiga con i suoceri e insieme tornano a Palermo dove nel '50 nasce Maria Rosa e cinque anni dopo Savina. La famiglia vive in una delle due palazzine di proprietà dei nonni materni, in piazza Leoni, davanti al parco della Favorita, la strada più veloce per andare a Mondello, la spiaggia dei palermitani. Hanno due negozi di alimentari grazie ai quali campano dignitosamente. Maria Rosa studia e si laurea in Scienze politiche, Savina preferisce dedicarsi all'attività di famiglia, nella quale nonostante gli studi avanzati poi lavorerà anche Maria Rosa.

Nel '79 inizia a palesarsi l'interesse di costruttori per l'acquisto del terreno dove sorgono le loro case. La zona della Favorita diventava sempre più appetibile, le insistenze degli impresari per l'acquisto crescevano in modo direttamente proporzionale. Ma non si tratta di costruttori qualunque.

Il primo a tentare di acquisire quel terreno e le due case che ci sono costruite sopra al nonno delle Pilliu è Rosario Spatola, ex venditore ambulante diventato in poco tempo tra i più ricchi d'Italia, che propone una permuta del terreno con altri immobili. Spatola vuole costruire un palazzo di nove piani ed ha già acquisito gran parte delle particelle. Gli mancano solo quelle di proprietà della famiglia Pilliu.

Spatola è una figura di primissimo piano della mafia che conta. Giovanni Falcone lo definì “un tipico esempio della figura dell'imprenditore mafioso” ed era considerato il braccio imprenditoriale delle famiglie Gambino-Inzerillo, cugino dei Gambino newyorkesi che ispirarono “Il Padrino”. Spatola insiste a lungo ma trova una barriera davanti a sé. Poi viene arrestato e l'area passa al costruttore Francesco Lo Iacono che anni dopo lo rivende a Pietro Lo Sicco, ex benzinaio cresciuto a fianco di Stefano Bontate. Anche lui è una figura di spessore nel mondo mafioso, come certificano decine di migliaia di carte processuali che gli autori di “Io posso” citano per far conosce il contesto. Lo Sicco, o chi per lui, insiste in tutti modi, con l'arma della persuasione e velate minacce. La risposta è sempre la stessa: no. Nel frattempo Lo Sicco, sulla base di una falsa dichiarazione della piena titolarità dei terreni, ottiene la concessione edilizia per costruire il palazzo, anche nella loro area, e inizia a edificare. Maria Rosa e Savina lo scoprono e vanno al Comune a chiedere conto all'assessore all'Edilizia. “Ma come, non avete venduto?”, chiede lui. No, non avevano venduto nulla. E bastava una banale visura catastale per scoprirlo. Passano gli anni e le piccole sorelle Pilliu continuano a scontrarsi con avvocati di grandi studi legali ma non cedono mai.

E' il 1992 e sono passati 13 anni dalle prime avances quando le ruspe della società di Lo Sicco scavano, buttano giù tutto dietro, davanti, a destra e a sinistra delle case della famiglia Pilliu, che per effetto dei movimenti vengono gravemente danneggiate: perdono il tetto e diventano pericolanti e inabitabili. Nel frattempo il palazzo abusivo di nove piani cresce. Loro sono costrette a trasferirsi in un appartamento in affitto ma combattono, scrivono diffide, si rivolgono a chiunque. Fino a quando decidono di andare in procura e incontrano un magistrato che le ascolta: si chiama Paolo Borsellino. Si incontrano per quattro volte e parlano per ore. La quinta sarebbe dovuta avvenire il 15 luglio del '92. Le sorelle hanno un imprevisto e rimandano l'incontro alla settimana successiva. Non accade mai perché quattro giorni dopo, il 19 luglio, Borsellino muore nell'attentato di via D'Amelio

Gli anni successivi sono caratterizzati da intimidazioni, battaglie legali (e spese) infinite. Iniziano le inchieste, i processi. Lo Sicco nel 2008 viene condannato a sette anni. La stampa si occupa del caso. Nel 2018, trent'anni dopo l'inizio della storia, le due donne ottengono anche il risarcimento: 658.934 euro “oltre rivalutazione monetaria per il risarcimento dei danni patrimoniali più 50mila euro a testa per il danno non patrimoniale oltre a 21mila euro di spese legali”. Ma i soldi non arrivano mai e inizia un'altra battaglia per ottenere ciò che spetta. Ma l'imprenditore non ha più niente e nel frattempo l'Agenzia delle entrate fa il suo dovere e chiede alle due donne 22mila e 842 euro, il 3% di quanto avrebbero dovuto incassare.

Pif e Lillo hanno scritto questo libro (Serie Bianca Feltrinelli, 15 euro) per pagare quella cartella esattoriale che lo Stato, lo stesso Stato che non sa risarcirle, chiede a queste due donne coraggiose. Tutto il ricavato sarà devoluto a loro e se qualcosa resterà – chiariscono gli autori – sarà investito in attività antimafia.

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