Prima cosa: metterci la faccia. E su questo, tutti e cinque nell’ultimo mese e mezzo lo hanno fatto. Proponendo idee, programmi, visioni di città (diverse e in parte comuni). Poi la campagna elettorale l’hanno fatta un po’ ognuno come gli pare: faccioni ovunque, passaggi in tv, manifesti, social, e tutti sempre con un bel sorrisone, sereno e ammiccante. Poi c’è stata anche la moda: ognuno l’ha interpretata a modo suo. Massimo Zedda (centrosinistra) “livrea” classica: jeans, camicia (rigorosamente bianca), giacca blu e polacchine, Alessandra Zedda (centrodestra) invece ha alternato elegantissimi tailleur (colori pastello chiari) con decolleté, a blazer blu o bianchi con la camicetta bianca e sneakers. L’avvocato Giuseppe Farris (espressione di una CiviCa) sempre con giacca e cravatta, con la pochette (quasi sempre) è stato considerato da molti il più elegante. Emanuela Corda (Alternativa) sempre sorridente in tailleur “spezzato” con magliette colorate, mentre la professoressa Claudia Ortu (Cagliari Popolare), vestiti colori freddi, non ha mai rinunciato alla kefiah.

Potenza dell’immagine, anche attraverso l’abbigliamento: lo aveva già capito trent’anni fa Silvio Berlusconi che con i suoi doppiopetti lanciava i suoi messaggi nelle videocassette recapitate alle redazioni dei telegiornali. Gli abiti sono la forma di auto-espressione più forte e immediata. Hanno a che fare con l’immagine (estetica, morale, religiosa, di genere) che si proietta all’esterno. La moda è politica, e lo è sempre stata. Non è certo una scoperta recente. “I blue jeans che sono un segno di sinistra con la giacca vanno verso destra” cantava Giorgio Gaber con ironia, raccontando l’abbigliamento di destra e sinistra. In questi tempi, la politica non fa certo eccezione. Gli abiti, i marchi e gli accessori, ancora oggi, comunicano intenzioni e visioni del mondo. Ma i codici si sono moltiplicati, e i messaggi sono spesso difficili da decifrare. 

Per intendersi: oltre le urne, chi ha vinto?

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