Per trasformare le molecole in un medicinale servono ingegneri chimici. Ed è finito il tempo in cui la sperimentazione era fatta di soli tentativi. Adesso a innescare il processo sono software all’avanguardia di cui dispongono le multinazionali del settore. Una di queste è Siemens e tra i professionisti che vi lavorano uno arriva da Lanusei. Alessandro Usai, 35 anni, ingegnere chimico. Appunto. Laurea a Cagliari, dottorato a Manchester, è uno dei cervelli cui l’Ogliastra ha dovuto dire addio. Ora lui vive e lavora a Londra, ne è entusiasta. Prospettive di rientro nel suo paese? Al momento praticamente zero, se non per le vacanze.

“Il nostro ramo – racconta Usai - si occupa di progettazione ricerca e sviluppo, studia modelli per la progettazione di impianti biofarmaceutici, con software avanzatissimi. Lavoriamo con le industrie farmaceutiche più importanti del mondo”. In particolare gPROMS Formulated Products - si legge nel sito internet di Siemens - è la piattaforma di modellazione per la progettazione digitale integrata di robusti prodotti formulati e dei relativi processi di produzione. Consente a scienziati e ingegneri di vagliare formulazioni con strutture di fase complesse per attributi di qualità, determinare se possono essere prodotte in modo affidabile ed esplorare lo spazio di progettazione per l'intera catena di formulazione e produzione.

Come un ingegnere meccanico progetta un’auto e un ingegnere edile progetta un palazzo, l’ingegnere chimico progetta le fasi di trasformazione di un principio attivo in un farmaco. Usai lavora in un team di otto persone che si occupano di biofarmaceutica. L’intero settore ne comprende cinquanta. “Un team in continua espansione”. C’è bisogno di intelligenze in quantità. “Perché molte industrie si affidano alla digitalizzazione”. Le aziende farmaceutiche provano, sbagliano, riprovano. “Noi forniamo modelli, che mirano a riprodurre i processi reali”.  I modelli avanzati, convalidati rispetto ai dati di processo – è spiegato ancora da Siemens - consentono agli utenti di ridurre la sperimentazione ed esplorare in modo completo lo spazio di progettazione per garantire la robustezza del processo e ottimizzare le prestazioni del processo stesso, costruendone al tempo stesso una comprensione approfondita.

Un laboratorio farmaceutico
Un laboratorio farmaceutico
Un laboratorio farmaceutico

Che standard di sicurezza si sono raggiunti? “Nella farmaceutica tradizionale – aggiunge Alessandro Usai -  i modelli sono sempre più affidabili. Quando vai sul biologico si fa tutto più difficile. Occorrono tempo, sforzo, ricerca. Non smettiamo mai di essere ricercatori. Il mio reparto è ricerca e sviluppo. Da ingegneri capire la biologia è sempre più complesso. Ci vogliono studio, tempo e passione per coniugare le due cose”. Funziona così. “Un’azienda sollecita un processo ad esempio per produrre un anticorpo monoclonale. Possono i tuoi software far capire come sta funzionando il processo, ridurre i tempi di immissione sul mercato, ridurre i costi. Prima si produce il farmaco, ovviamente più immediato è il beneficio per il paziente”.

La pandemia ha imposto ritmi accelerati. “Sul fronte Covid siamo stati in contatto con alcune grandi aziende, posto che la produzione di alcuni vaccini si appoggia su processi biologici, quindi c’è un grosso interesse intorno alla materia. Negli ultimi anni, soprattutto per il Covid, si è sentita la necessità di accorciare i tempi”.

Una delle sedi dell'azienda (foto Siemens)
Una delle sedi dell'azienda (foto Siemens)
Una delle sedi dell'azienda (foto Siemens)

Inghilterra, Italia. Mondi lontani quanto a prospettive occupazionali, mentalità, risorse. “Gli italiani che lavorano in ricerca e sviluppo - osserva l’ingegnere di Lanusei – sono tanti”, ma la maggior parte di loro trova realizzazione all’estero. “Tra Londra e Roma c’è una differenza nella facilità con cui anche persone singole intraprendono percorsi imprenditoriali. Ragazzi che si lanciano in start up? Molti di più in Inghilterra dove il sistema incoraggia a partire da zero. Anche trasferire tecnologia dalle università alle aziende Oltremanica è molto più facile. In Inghilterra è molto meno diffusa la paura di sbagliare, perché l’errore rientra in un percorso di crescita e maturazione”.

Alessandro Usai non pensa neppure di tornare in Italia. “Se dovessi rientrare farei qualcosa di mio. Tutt’al più, allo stato attuale, posso pensare a un lavoro ibrido, un po’ qua un po’ a Londra, sempre per Siemens”. Altre prospettive non ce ne sono. “Il richiamo più forte dall’Italia è costituito da famiglia e amici, non da una dimensione professionale”. Un consiglio ai neolaureati? Determinante il fatto di non aver paura di cogliere le opportunità, non aver paura di sbagliare e ricominciare daccapo”. Gli insegnamenti (“chi ci guida ha anche responsabilità”) hanno un’importanza vitale. Ricordo una professoressa di chimica al liceo scientifico. Mi ha trasmesso passione per la materia. Gli esempi che ti danno in famiglia poi sono basilari. Nel momento in cui ricevi un esempio è molto più facile assimilarlo”. Così ha fatto Alessandro Usai, ingegnere chimico con un biglietto di sola andata per una delle industrie più prestigiose al mondo. Per staccare quello di ritorno ci vorrà molto tempo.

© Riproduzione riservata