Può un imputato rilasciare dichiarazioni alla stampa sul suo processo nel corso di quel processo? La risposta dovrebbe essere sì, anche perché è quello che avviene regolarmente. Almeno in Italia.

Se una persona è sottoposta a un procedimento penale è libera di andare in tv o di rilasciare interviste ai giornali, a meno che non sia in stato di detenzione cautelare o ai domiciliari con precise prescrizioni che vietino di parlare con persone estranee ai suoi conviventi.

Ma negli Stati Uniti non funziona così e ci sono giudici che lo hanno messo nero su bianco, con una sentenza che perdipiù non riguarda un cittadino qualsiasi ma addirittura Donald Trump, l’ex presidente tutt’ora in corsa per una nuova candidatura alla Casa Bianca. La limitazione serve a proteggere l’integrità del processo in modo che non venga inquinato da dichiarazioni esterne.

La Corte d’appello degli Stati Uniti per il distretto della Columbia ha affrontato la questione dopo che una giudice aveva emesso un provvedimento che limitava la libertà di Trump nel rilasciare dichiarazioni in vista del processo dove è imputato. Quella decisione è stata confermata dalla Corte, sebbene soltanto in parte.

La sentenza è stata riportata nel ricco blog dell’avvocato Guido Stampanone Bassi che ha pubblicato le 68 pagine del verdetto riassumendone i principi (e traducendoli) in alcuni punti fondamentali.

In sostanza: come qualsiasi altro imputato Trump ha il diritto costituzionale di parlare e i suoi milioni di sostenitori, così come i suoi milioni di detrattori, hanno il diritto di ascoltarlo.

Però, alla pari di qualsiasi altro imputato, Trump non ha un diritto di parola illimitato dal momento che, secondo i giudici statunitensi, questo diritto deve essere bilanciato con altri interessi. Tra questi c’è quello dell’opinione pubblica: il processo a Trump non deve essere ostacolato, impedito o contaminato ma al contrario deve essere condotto in modo equo e risolto secondo il giudizio di una giuria imparziale, basato solo sulle prove presentate in Aula.

Di conseguenza, i tribunali devono adottare misure per proteggere l’integrità del processo dando alla libertà di parola la più ampia gamma compatibile con il requisito essenziale della giusta amministrazione della giustizia.

Quando un caso coinvolge un’ampia copertura mediatica – scrive l’avvocato Stampanone Bassi - e dunque è grande l’interesse dell’opinione pubblica, un tribunale non può sedersi e aspettare che si crei una “atmosfera carnevalesca” prima di agire (questa è la frase usata dai giudici nella sentenza).

Ed ecco che proprio per prevenire possibili pregiudizi al processo, i tribunali hanno l’obbligo costante di garantire che le dichiarazioni su un caso personale non distolgano il processo dallo scopo stesso del sistema giudiziario, che è quello di giudicare le controversie, penali e civili, nella calma e nella solennità dell’aula di tribunale secondo le procedure legali.

La Costituzione americana impone ai tribunali di garantire che le dichiarazioni e le influenze esterne non deraglino e non corrompano il processo penale.

Sebbene la Corte Suprema – sottolinea ancora l’avvocato nel riportare le motivazioni della decisione della Corte d’appello - abbia ripetutamente affermato che i tribunali distrettuali hanno il potere, ove necessario, di limitare le dichiarazioni dell’imputato, la stessa non ha comunque mai esaminato direttamente un’ordinanza che limita le dichiarazioni fuori dall’Aula di un imputato.

La libertà di parola è fondamentale e l’interesse dell’opinione pubblica, essenziale in ogni stato democratico, è amplificato nei processi penali, dove il controllo pubblico promuove trasparenza, responsabilità e integrità. “E’ difficile individuare un aspetto del governo di maggiore interesse e importanza per il popolo, rispetto al modo

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