«Hai già ricevuto il Green pass?». Alzi la mano chi non si è sentito fare questa domanda almeno una volta dopo aver completato il ciclo vaccinale che dovrebbe, varianti permettendo, metterci al riparo dal rischio contagio. Ma il Green pass è davvero la chiave che ci apre tutte le porte e le frontiere che per un anno e mezzo sono state sigillate dal Covid?

Sul tema si è recentemente espresso il Comitato nazionale di Bioetica con un parere che “analizza le problematiche bioetiche della certificazione sanitaria ad uso non solo medico relativa a Covid-19 (‘Pass-Covid 19’) che include il certificato che attesta la vaccinazione, la presenza di anticorpi e il tampone negativo”. Una certificazione per riprendere in mano la vita, insomma, per ricominciare dove ci siamo fermati nel febbraio 2020. Ma con i vantaggi, che il Comitato mette bene in evidenza, non mancano le criticità.

Il Parere è stato curato dal Presidente Lorenzo d’Avack, dalla vicepresidente vicaria Laura Palazzani e dai professori Salvatore Amato, Carlo Casonato e Assuntina Morresi, con contributi di Stefano Canestrari, Cinzia Caporale, Bruno Dallapiccola, Antonio Da Re, Silvio Garattini, Luca Savarino e Grazia Zuffa. Il Parere è stato poivotato dai professori. Salvatore Amato, Luisella Battaglia, Stefano Canestrari, Cinzia Caporale, Carlo Casonato, Antonio Da Re, Lorenzo d’Avack, Mario De Curtis, Riccardo Di Segni, Gianpaolo Donzelli, Silvio Garattini, Mariapia Garavaglia, Marianna Gensabella, Assunta Morresi, Laura Palazzani, Tamar Pitch, Lucio Romano, Luca Savarino, Monica Toraldo di Francia e Grazia Zuffa. Il professor. Maurizio Mori ha approvato, aggiungendo una nota integrativa.

Sul piano delle criticità si evidenzia prima di tutto quella che viene definita una non equivalenza tra le tre certificazioni in termini di protezione e durata della protezione dal contagio, oltre che di trasmissibilità. Questo perché la certificazione è collegata a tre requisiti alternativi: primo l’avvenuta vaccinazione, secondo un test sierologico attestante la presenza di anticorpi in quantità sufficiente a contrastare l’infezione da SarsCov-2 oppure certificato di guarigione dalla malattia rilasciato dal medico curante, terzo un tampone negativo nelle ore precedenti l’attività (generalmente non oltre 48 ore).

“A rigore, quindi, - scrivono gli esperti - a proposito di un documento di questo tipo, sarebbe più opportuno definirlo “certificazione sanitaria per uso non solo medico relativa al Covid-19: le specificazioni ‘per uso non solo medico’ e ‘relativa al Covid-19’ hanno una valenza bioetica in quanto precisano l’applicazione della certificazione ad ambiti diversi da quello sanitario e la non estensibilità automatica ad altri e futuri possibili usi non legati alla pandemia, entrambe questioni bioeticamente critiche”.

Sul piano delle criticità si evidenzia quindi la non equivalenza tra le tre certificazioni in termini di protezione e durata della protezione dal contagio, oltre che di trasmissibilità.

C’è poi un’altra criticità: la possibile discriminazione tra chi ha avuto la possibilità di vaccinarsi e chi, pur volendolo, non lo ha potuto fare e le problematiche relative ai costi del test sierologico e del tampone.

Fiale di differenti vaccini (foto archivio L'Unione Sarda)
Fiale di differenti vaccini (foto archivio L'Unione Sarda)
Fiale di differenti vaccini (foto archivio L'Unione Sarda)

“Persino disponendo di una quantità di dosi di vaccino sufficiente a soddisfare tutta la popolazione – scrive il Cnb - la richiesta di una certificazione vaccinale dovrà tenere conto di coloro che, pur volendolo, non lo potranno fare per motivi medici o perché il vaccino allo stato non è stato sperimentato su di loro (ad esempio, minori e donne in gravidanza). Un effetto discriminatorio permane anche ex-post, nel caso del ‘Pass Covid19’ che includa, oltre al certificato relativo ai vaccini, anche il test sierologico o il certificato di guarigione nonché i tamponi, visto il disallineamento del rischio tra i soggetti vaccinati e i soggetti che non hanno potuto vaccinarsi e per i costi e la necessaria ripetizione periodica del test sierologico e del tampone. Per affrontare tale discriminazione, ad esempio, si può avanzare la proposta di renderli sempre gratuiti, nonché di garantire in ogni caso una comunicazione istituzionale chiara sul rischio personale e collettivo che comunque permane”.

Vero è che il ricorso alle certificazioni è ormai considerato fondamentale per permettere un pur parziale ritorno alla normalità ed è anche vero che occorre un sistema per evitare che i singoli Stati, Regioni e Comuni adottino misure eterogenee di controllo che possono aggravare il quadro discriminatorio in base alla provenienza geografica. Il Comitato avverte che “vi potrebbero essere anche ripercussioni a livello globale per i Paesi a medio e basso reddito, impossibilitati ad effettuare una vaccinazione di massa e, di conseguenza, irrimediabilmente discriminati. Da un punto di vista psicologico, data l’impossibilità di eliminare del tutto il rischio di contagio, il possesso del ‘Pass Covid-19’, in qualsiasi modalità sia proposto, potrebbe generare un falso senso di sicurezza, conducendo a comportamenti tali da mettere a rischio la salute propria e delle persone con cui si viene a contatto”.

Ecco perché è necessario affrontare il tema, parlando dei vantaggi ma anche dei limiti di questa sorta di patentino. L’informazione, così come è stato in tutte le tappe della lotta al Covid, anche in questo caso è fondamentale.

I vantaggi ovviamente ci sono e sono tanti. Il Cnb parla di una “doverosa premialità per chi, con responsabilità solidale, si è vaccinato assumendosi i rischi e nell’incentivo all’accettazione del vaccino per gli esitanti. Inoltre la certificazione consente a molti soggetti una maggiore libertà di movimento, nel rispetto rigoroso delle misure volte a tutelare la salute pubblica”. Tuttavia il Comitato sottolinea  l’importanza che si tratti sempre e comunque di misure temporanee. Bisogna tenere sempre conto della eccezionalità della situazione pandemica, nella speranza – ribadiscono con fermezza i firmatari del parere - che una volta tornati a una condizione di normalità non si debba, né si possa più, fare ricorso a strumenti di questo tipo. Questo strumento “deve essere mantenuto in vigore per il tempo strettamente necessario, in modo proporzionato e temporaneo, introducendo le garanzie necessarie per impedirne abusi e non deve costituire la premessa per misure automatiche più ampie e definitive, come il passaporto biologico, o per altre forme di tracciamento, profilazione o sorveglianza. Ogni misura di restrizione e di condizionamento delle libertà individuali basata sulle condizioni di salute che si estendesse oltre il termine indicato deve essere considerata eticamente e giuridicamente inaccettabile”

Infine gli esperti danno alcune raccomandazioni: “Il Pass-Covid 19 deve essere comprensibile, gratuito, facile da ottenere; deve essere disponibile sia in forma digitale che cartacea, per evitare il divario digitale; deve contenere misure che ne garantiscano l’autenticità, come il codice QR. 8. Le indicazioni d’uso del pass devono essere basata su dati scientifici e aggiornati sull’andamento del contagio, sulle varianti del virus, sul grado e sulla durata dell’immunità, sulla trasmissibilità del contagio nei vaccinati. 9. Trattandosi di dati particolari legati alla salute è necessario che il ‘Pass Covid-19’ e la gestione complessiva dei dati assicurino la tutela della privacy, in conformità con tutte le norme in tema di protezione dei dati personali”.

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