Il magistrato condannato non può essere automaticamente rimosso dal servizio
La Corte costituzionale restituisce discrezionalità all’organo di autogoverno, cioè al CsmPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Se un magistrato viene condannato in sede penale e in via definitiva perché ritenuto responsabile di reati, la rimozione automatica dal servizio è illegittima. Questa è la decisione della Corte Costituzionale: con la sentenza numero 5 del 28 marzo 2024 ha dichiarato illegittima la norma che prevede un automatismo nella rimozione dalla magistratura in caso di condanna del magistrato a una pena detentiva che non sia stata sospesa.
La Corte ha così accolto una questione sollevata dai giudici della Cassazione.
Il caso è questo: un magistrato era stato condannato con sentenza passata in giudicato alla pena - non sospesa – di due anni e quattro mesi di reclusione. Secondo quel verdetto l’imputato aveva posto, pur con il consenso della presidente del collegio di cui era componente, la firma apocrifa della presidente stessa in tre diversi provvedimenti giurisdizionali.
In applicazione della norma ora dichiarata incostituzionale il Consiglio superiore della magistratura aveva applicato al magistrato la sanzione disciplinare della rimozione e l’interessato aveva promosso ricorso per Cassazione contro quel provvedimento.
La Corte costituzionale ha ricordato che la condanna penale di un funzionario pubblico o di un professionista non può da sola determinare la sua automatica espulsione dal servizio o dall’albo professionale. Sanzioni disciplinari fisse come la rimozione sono anzi indiziate di illegittimità costituzionale e in ogni caso deve essere salvaguardata la centralità della valutazione dell’organo disciplinare nell’irrogazione della sanzione che gli compete.
La norma dichiarata incostituzionale, invece, ricollegava la sola sanzione della rimozione alla condanna per qualsiasi reato, purché la pena inflitta dal giudice penale superasse una certa soglia quantitativa. In questo modo si finiva per spogliare il Csm di ogni margine di apprezzamento sulla sanzione da applicare nel caso concreto.
Nella vicenda che ha dato luogo al giudizio in effetti il giudice penale aveva irrogato una severa pena detentiva – non sospesa - senza poter considerare gli effetti che tale pena avrebbe necessariamente prodotto nel successivo giudizio disciplinare. In conseguenza poi dell’automatismo creato dalla norma neppure nel giudizio disciplinare era stato possibile vagliare la proporzionalità di una sanzione rispetto al reato commesso dall’imputato, dal peculiare angolo visuale della eventuale idoneità del magistrato a continuare a svolgere le proprie funzioni. E ciò pur a fronte dell’entità delle ripercussioni che l’espulsione definitiva dall’ordine giudiziario è suscettibile di produrre sui diritti fondamentali, e sull’esistenza stessa della persona interessata.
D’altra parte, ha proseguito la Corte costituzionale, non può in assoluto escludersi che un fatto di reato per il quale un giudice penale abbia inflitto una pena detentiva non sospesa possa essere ritenuto, sia pure in casi verosimilmente rari, meritevole di sanzioni disciplinari meno drastiche della rimozione. E ciò anche in considerazione di un fatto: la mancata concessione della sospensione condizionale non deriva necessariamente da una prognosi circa la possibile commissione di nuovi reati da parte del condannato. Può al contrario semplicemente discendere - come nel caso di questo processo - dal superamento del limite di due anni di reclusione entro il quale il beneficio può essere concesso. Ipotesi quest’ultima nella quale il condannato per cui non sussista pericolo di reiterazione del reato può, in molti casi, essere ammesso a espiare la propria pena in regime di affidamento in prova al servizio sociale, continuando così a svolgere la propria ordinaria attività lavorativa.
Infine, la Corte ha precisato che per effetto di questa sentenza il Csm potrà ora determinare discrezionalmente la sanzione da applicare al magistrato potendo naturalmente optare ancora per la rimozione laddove ritenga che il delitto per cui è stata pronunciata condanna sia effettivamente indicativo della radicale inidoneità del magistrato incolpato a continuare a svolgere le stesse funzioni.