Ripulire le opere d’arte? Con i batteri. L’idea, anticipata dalla letteratura e dai “visionari” fumetti Disney, è la nuova frontiera del restauro.

Ci sono batteri che amano lo sporco al punto da divoralo, lasciando le superfici, ad esempio un’antica opera d’arte, candide come una tovaglie.

Questi microrganismi sono stati usati per la biopulizia dei marmi di Michelangelo nella Cappella dei Medici. Microbi opportunamente selezionati sono in grado di rimuovere i detriti dalla superficie delle statue in pietra o dai dipinti. Di certo non potranno ripulire la coscienza di coloro che per protestare contro l’inquinamento gettano succo di pomodoro o altri liquidi sui quadri. Una connessione faticosa da digerire perfino per loro. Tuttavia riescono ad agevolare il lavoro degli esperti restauratori.

È noto come i batteri non siano sempre negativi, ma abbiano, a volte, anche effetti benefici. Per esempio, alcuni microbi opportunamente selezionati sono in grado di rimuovere i detriti dalle opere d’arte in modo da preservarle e restituirgli l’antico splendore. Durante la pandemia, un team dell’Agenzia nazionale italiana per le nuove tecnologie (Enea) ha ripulito con i microrganismi le famose tombe scolpite da Michelangelo della Cappella dei Medici a Firenze.

Nel corso dei secoli lo sporco si era infiltrato nei marmi bianchi di Carrara della Sagrestia Nuova che ospita le tombe dei Medici, creando macchie profonde. Uno sporco che è stato mangiato da un batterio chiamato “Serratia ficaria SH7” un microrganismo che si nutre di colla, olio e fosfati e che perciò è stato utilizzato per pulire le superfici delle tombe di Lorenzo e Giuliano de' Medici.

Ma le prime applicazioni di questa idea di biopulizia hanno origine con Giancarlo Ranalli negli anni ’90. Ranalli in quel periodo, era impegnato con la Commissione per il restauro di Pisa, in Italia, come esperto di microbiologia con consulenza sui microrganismi che danneggiano le opere d’arte. I maggiori vantaggi di questa tecnica si ottengono con le materie organiche. Pare che i batteri ne siano ghiotti. Ma soprattutto scelgono con attenzione cosa mangiare.

All’epoca, una squadra di restauratori si stava occupava degli affreschi medievali nel Cimitero monumentale della città che fu bombardato durante la seconda guerra mondiale. Quando i metodi chimici tradizionali per pulire gli affreschi si sono rivelati inefficaci, il responsabile del progetto si è rivolto a Ranalli.

L’esperto di microbiologia aveva spiegato che gli affreschi di Pisa erano incrostati di materia organica, una fonte primaria di cibo per i microbi già utilizzata nei laboratori di tutto il mondo. Doppiamente importante, le sostanze inorganiche che compongono i pigmenti sugli affreschi non interessavano ai batteri. In pratica i microbi consumerebbero e rimuoverebbero selettivamente le alterazioni superficiali organiche lasciando intatti i pigmenti. Nella categoria dei migliori mangiatori, candidato perfetto per la biopulizia delle opere d’arte è il batterio aerobico Pseudomonas stutzeri, ceppo A29.

Questo microrganismo, proprio attraverso la colla animale deteriorata, ha “mangiato” i detriti sulla “Conversione di Sant’Efisio e battaglia” di Spinello Aretino del XIV secolo, restaurando con successo l’affresco che per decenni si era tentato di far tornare all’originale. Ma ci sono altri importanti lavori svolti per l’uomo da questi microrganismi.

I dipinti, perfino quelli custoditi nei più tecnologici musei, accumulano lo sporco dall’aria circolante e, in particolare le installazioni all’aperto, raccolgono sale, minerali e terra. Da quando i risultati del primo progetto sul Cimitero monumentale sono stati pubblicati nel 2004, Ranalli e una nuova generazione di ricercatori hanno allargato i confini della biopulizia per includere più microbi e più siti del patrimonio culturale e, attualmente, sono varie le opere in tutto il mondo che sono state restaurate con l’aiuto dei batteri "mangia sporcizia". Se il metodo funzionasse su vasta scala, le applicazioni sarebbero immense. Ma soprattutto potrebbero rimediare all’inquinamento degli oceani. Zio Paperone e Archimede avrebbero risolto il problema in qualche decina di pagina. Legioni di scienziato stanno studiando come imitarli. 

© Riproduzione riservata