La minaccia dei migranti

Ma i migranti sono davvero una minaccia così grande alla nostra identità, alla nostra sicurezza? O sono un’opportunità?

Sette giorni fa in parlamento il presidente del Consiglio Mario Draghi è stato chiaro. Le sue parole sono il segno che qualcosa sta cambiando. Per puro realismo.

“I migranti vanno trattati bene, non è pensabile violare i diritti umani — ha detto il capo del governo —. Non si può sbagliare sull’accoglienza, se si sbaglia sull’accoglienza la migrazione diventa un peso maggiore, se si fa bene questi migranti diventano delle risorse”. L’Italia, ha assicurato il premier, solleverà la questione chiedendo una “gestione condivisa, solidale, umana e sicura” con la promozione di corridoi umanitari dai Paesi terzi verso gli Stati Ue. “Non è sufficiente che sia solo l’Italia ad attuarli — ha aggiunto —: serve un chiaro impegno europeo. Dobbiamo rafforzare i canali legali di migrazione. Allo stesso tempo, serve una gestione condivisa, rapida ed efficace dei rimpatri”.

Fino agli anni ’80 eravamo terra di emigrati, poi in poco tempo siamo diventati terra di immigrati. La data simbolica in cui tutto è cambiato è quella dell’8 agosto 1991, quando la nave Vlora approdò a Bari con 20 mila albanesi, subito rinchiusi nello stadio. E oggi che succede?

Gli immigrati residenti in Italia nel 2001 erano poco più di 1 milione e 300 mila, oggi sono 5 milioni. Da luglio gli approdi mensili, al netto dei morti rimasti in quel grande cimitero chiamato Mediterraneo, non sono mai scesi sotto la quota 6.900, con un picco di 10mila in agosto. Al 14 dicembre, i migranti arrivati in Italia sono 63.062 (erano 32mila nel 2020, 11mila nel 2019).

Lo strumento destinato a decidere la sorte di tantissimi migranti nel prossimo futuro è il Dpcm Flussi. Un nome evocativo. Il documento dovrebbe prevedere 81mila ingressi di lavoratori stranieri (a fronte dei 30mila annuali del 2020). Dei migranti abbiamo bisogno. Non lo dice il capo di qualche Ong tedesca ma il presidente del Consiglio, che ha rimarcato il concetto. “Le capacità di assorbire le persone legalmente presenti in Italia sono poche. Dobbiamo investire molto di più e riformare il sistema”. L’invito alla politica e quello a “ragionare in termini non ideologici, ma pragmatici”. L’aria è cambiata, e non poco rispetto a quando un ministro del governo teneva in mare per giorni una nave colma di disperati per puro calcolo politico.

Eppure tutti sanno, lo dicono i numeri, che l’Italia degli italiani, ne fosse rimasto qualcuno, è in caduta libera: non nascono più bambini, la popolazione invecchia a ritmi sostenuti. Lo ha chiarito qualche giorno fa l’Istat. La Sardegna sta lentamente scomparendo, con interi paesi destinati a morire in pochi decenni.

Nell’Isola gli stranieri al primo gennaio 2021 sono 49.322 e rappresentano il 3,1% della popolazione residente. Un invasione? Non proprio.

Da qualche anno la questione migranti appare chiara: abbiamo trovato qualcuno da odiare, su cui scaricare paure e frustrazioni. Non siamo un paese che accoglie. In questo ruolo le parole sono importanti. Quando si parla di “invasione”, di “loro”, che non sono “noi”, compaiono gli spettri. E non c’è bisogno di evocare quando c’era “lui”. L’etimologia della parola clandestino, dal latino clam (di nascosto) e (dies), giorno è esemplare. Colui che si nasconde al giorno, entra furtivamente, contrabbanda il proprio essere. Non hanno nulla da perdere.

Come le migliaia di persone ammassate al confine tra Polonia e Bielorussia, che si apprestano a trascorrere il peggior Natale possibile, pedine di una guerra con ben altri interessi. Disperati alla ricerca di un futuro migliore muoiono alla frontiera dell’Europa. Cosa fa l’Italia? Come altri paesi tentenna, rilancia e chiede cooperazione. Draghi, sempre in parlamento, ha parlato chiaro, contestando il loro utilizzo come “strumento di pressione politica internazionale” e denunciando la sistematica violazione dei diritti umani che sta avvenendo al confine tra Polonia e Bielorussia. In tanta prudenza le parole più forti sono quelle di Papa Francesco in visita all’Isola di Lesbo. “Solo se riconciliato con i più deboli l’avvenire sarà prospero. Perché quando i poveri vengono respinti si respinge la pace. Chiusure e nazionalismi, la storia lo insegna, portano a conseguenze disastrose”.

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