Sono trascorsi 55 anni dalla scomparsa ma la sua leggenda non è stata minimamente intaccata dal passare del tempo, anzi. Il 9 ottobre 1967, come recitava un lancio Ansa, “moriva Ernesto Che Guevara, crivellato di pallottole su una panca della scuola di La Higuera, in Bolivia”: aveva 39 anni ed era andato in quel Paese l’anno prima sotto falso nome.

La consacrazione a mito è avvenuta con la sua morte, che infatti ebbe un’eco enorme. Ernesto Guevara non subì un processo e in Bolivia non c’era la pena capitale. Poi la foto scattata dal ritrattista cubano Alberto Korda fece il resto. Divenne rapidamente un’icona: sguardo fiero e intenso, irresistibile.

Un’immagine singolare che è stata stampata su una marea di magliette in giro per il mondo ma anche nei più svariati oggetti e souvenir che hanno conquistato tanti. D’altra parte, impossibile non restare affascinati da quell’uomo unico. Ernesto Guevara, infatti, aveva tutte ma proprio tutte le caratteristiche per far innamorare i giovani, ieri come oggi. I suoi princìpi e le sue idee suscitavano una grande passione e tanta curiosità: disinteresse assoluto per il denaro, stile frugale, propensione a giocarsi tutto in nome di un ideale altissimo, la lotta alla povertà, il riscatto dei diseredati, la guerra a ricchi e prepotenti.

Ernesto Guevara aveva un’idea fissa, quella di esportare la rivoluzione nel mondo. Esportarla, cioè, da Cuba, l’unico luogo in cui secondo lui aveva vinto. In Bolivia si era trasferito dopo essere stato in Congo per fare la guerriglia. Nel settembre 1967 gli tesero una imboscata: il comandante con i suoi uomini tentò una ritirata ma alla fine fu accerchiato a Quebrada del Yuro. Dopo una giornata intera di combattimenti, l’8 ottobre venne catturato per essere poi rinchiuso nella scuola di La Higuera, dove trascorse la notte. Intanto Barrientos diede ordine che gli sparassero e la mattina successiva il sergente Mario Teran venne mandato a eseguire la sentenza. Vicino a lui un uomo della Cia, che disse a Teran di sparargli alle gambe per una ragione molto semplice: farlo morire dissanguato e perché non si desse la colpa al governo. Ma Teran, ubriaco e terrorizzato, sparò a occhi chiusi: colpì Guevara alle gambe e al cuore.

Il Che pensava di coinvolgere nella rivoluzione i contadini, proprio come Pisacane a Sapri. E, guarda un po’, fu tradito dai contadini boliviani che non gli diedero minimamente retta. Proprio come Pisacane e Mazzini furono traditi da quelli lucani. Ludovico Incisa di Camerana, in una biografia, lo mette accanto a D’Annunzio, Marinetti e Malaparte, tutti di destra. Un accostamento decisamente azzardato e singolare.

L'Avana, una mostra fotografica dedicata a Ernesto Guevara. Foto Mocci
L'Avana, una mostra fotografica dedicata a Ernesto Guevara. Foto Mocci
L'Avana, una mostra fotografica dedicata a Ernesto Guevara. Foto Mocci

Una curiosità: il suo soprannome era el Che. Ernesto Guevara era argentino e nei suoi discorsi utilizzava sempre un intercalare, “che” che significa uomo. Ecco perché venne poi soprannominato in questo modo.

Laureato in medicina, el Che apparteneva a una famiglia altolocata e aveva una smisurata passione per i viaggi. Nel 1951 andò in Perù a fare volontariato in un lebbrosario, ci arrivò in sella a una vecchia moto. Dopo la laurea lo troviamo in Bolivia, Perù, Ecuador, Panama, Costa Rica, Nicaragua e soprattutto Guatemala, dove c’era un governo popolare. Qui comincia il suo incontro con i rivoluzionari: Hilda Gadea, che poi diventerà sua moglie, e numerosi castristi. In particolare Fidel Castro, incontrato in Messico, lo portò a fare la rivoluzione a Cuba. Preso il potere, Castro lo nominò cittadino cubano e direttore dell’Istituto Nazionale per la Riforma agraria. Non solo: fu anche presidente della Banca Nazionale, firmava la banconote col nomignolo “Che” e ministro dell’Industria. Ma il 14 marzo 1965 rinunciò a tutto questo. Era un estremista piuttosto conosciuto ma certamente non una star internazionale.

La sua leggenda e il suo mito cominciarono proprio dopo la sua morte e ancora oggi, a distanza di 55 anni da quella mattina di ottobre, resistono al passare del tempo. E anzi vengono rafforzati.

© Riproduzione riservata