Non è folklore, semmai “testimonianza”. Elisabetta Randaccio, cagliaritana di 49 anni residente a Serramanna, è una moglie e una madre con una vita intensa. Lavora nell’ambito amministrativo ma, soprattutto, come mental coach (figura professionale che aiuta le persone a raggiungere i loro obiettivi attraverso il metodo del coaching) e come Training Coordinator del corso di alta formazione per mental coach di Brain2Gain. Da poco più di un mese è Miss Frociarola Sardegna ed è lei stessa a spiegare i motivi di quella che comunque è una scelta di valori, di rispetto e di moderna solidarietà: “Mi sono avvicinata alla comunità Queer fin da adolescente grazie ai soggiorni all’estero, visto che ho studiato lingue straniere, durante i quali mi sono confrontata con realtà diverse che mi hanno formata all’unicità delle persone”, dice Randaccio. “Questa visione si è consolidata nel tempo anche grazie a un’esperienza professionale nelle risorse umane di una multinazionale americana. Sono stata incoronata Miss Frociarola Sardegna al Fico d’India, il 29 agosto scorso, dopo essere risultata la più votata tra le 6 concorrenti quasi il 30% dei voti totali e dopo aver superato tre prove live: presentazione, prova di talento – ho cantato dal vivo - e un quiz di cultura Queer”.

Felice per questo premio?

“Sono molto felice!  Mi sono messa in gioco superando la mia innata riservatezza e, oltre alla soddisfazione di aver superato brillantemente le tre prove live sul palco del Fico d’India, ho riscontrato il supporto di tantissime persone. Supporto nei miei confronti e, soprattutto, per la causa LGBTQIA+”.

A chi sostiene sia solo esibizionismo e folclore, che cosa risponde?

“Non confonderei gioia e condivisione con esibizionismo e folclore perché sono delle cose ben distinte. Da formatrice  e da mental coach posso assicurare che si può parlare di argomenti seri e di sostanza con il sorriso sulle labbra e, anzi,  ciò che si impara divertendosi non si scorda mai. Allo stesso modo si può condividere la causa LGBTQIA+ sorridendo e con leggerezza, laddove spesso ci sono situazioni delicate e, a volte, tragiche”.

Lei è etero, è sposata e ha famiglia. Eppure è diventata il volto positivo ed entusiasta del movimento LGBTQIA+”. Perché l'omosessualità è ancora percepita come un problema?

“Fondamentalmente penso che si abbia paura di ciò che non si conosce. L’omosessualità è, per molti, ancora avvolta da un alone di mistero o viene proposta come un vizio, un peccato, un qualcosa di cui vergognarsi. La sessualità, in generale, è un qualcosa che fra eterosessuali si fa ma non si racconta, figuriamoci  quando si tratta di omossessualità. Ognuno di noi ha una propria visione delle cose che è frutto di esperienze, educazione, contesto familiare, sociale e solo di recente si parla di omosessualità in modo corretto e rispettoso”.

E in che modo fa - se si può usare questo termine - testimonianza?

“La migliore testimonianza credo sia l’esempio e l’agire concretamente nel quotidiano.  Rispetto chi la pensa diversamente da me (il mio lavoro di coach si basa sull’accoglienza ed il non giudizio) ma agisco, parlo e condivido in linea con il mio sostegno alla causa LGBTQUIA+. Sono inoltre una de* soc* fondator* di  Sardinian People for Queer Revolution, un’associazione culturale che si batte, appunto, per i diritti della comunità LGBTQUIA+".

Lei è il volto delle gioie di questa comunità. Anche dei tormenti?

“Per mia natura  sono una donna empatica e rispettosa dei sentimenti altrui, specialmente quando si tratta di situazioni delicate e che causano sofferenza.  E di sofferenza ce n’è molta: ciò che per me può essere banale per qualcuno è fonte di disagio, di vergogna o di emarginazione. Non mi tiro certo indietro laddove si mette da parte il sorriso e si affrontano situazioni complicate e critiche sia come mental coach che come socia di Sardinian People for Queer Revolution”.

 Qual è il più frequente?

“In base alla mia esperienza personale ho riscontrato di frequente la sofferenza per non poter vivere liberamente la propria natura nelle situazioni e nei contesti più basilari e quotidiani; questo, sempre più spesso, a causa dell’inadeguatezza di una società che ingloba le persone nel genere binario maschio/femmina”.

Ha mai aiutato direttamente qualche giovane allontanato dalla sua famiglia o dal suo contesto sociale?

“Sì, mi è capitato. Senza andare troppo nel dettaglio per rispettare la privacy posso dire che come associazione abbiamo fornito supporto concreto più di una volta”.

Cagliari e, più in generale la Sardegna, affrontano certe tematiche con maturità o imbarazzo?

“Premesso che si può fare sempre meglio, penso che si stia andando nella direzione giusta. Si parla di comunità LGBTQIA+ con sempre maggiore naturalezza e concretezza. Ci sono contesti nei quali è più difficile farlo che in altri. Penso che il modo migliore per cambiare la mentalità  nei contesti più chiusi sia farlo con gentilezza e rispetto per le opinioni altrui. Se si vuole rispetto si deve essere i primi a praticarlo. Detto questo, vedere alle manifestazioni, ai Pride tanti giovanissimi che manifestano la loro libertà di pensiero è un segno bellissimo. Ma ciò che ricordo con più emozione sono il bacio e l’abbraccio ricevuti da una signora anziana durante la sfilata per l’Ogliastra Pride  2022 al quale ho partecipato, appunto, come Miss Frociarola 2022: il rispetto verso il prossimo non ha età”.

Come vive - nella sua sfera privata - questa nuova responsabilità, perché tale è per molti?

“La vivo con molto senso di responsabilità e con molto onore. Credo molto nel fatto che agli onori corrispondano anche gli oneri. Mi sono esposta molto partecipando a Miss Frociarola 2022 e continuerò a farlo, a modo mio con educazione e rispetto, per aiutare la comunità  LGBTQUIA+”.

Descriva il mondo in cui vorrebbe vivesse suo figlio da adulto.

“Premetto che la candidatura a Miss Frociarola e il sostegno alla comunità LGBTQUIA+ sono un qualcosa di condiviso con mio marito e mio figlio. Ed è proprio per lui, per la sua generazione e quelle successive che mi batto con convinzione e ardore. Perché possano essere liberi di essere ciò che sono, chi sono senza doversi nascondere o, peggio, doversi vergognare.  Per mio figlio Francesco, una volta adulto, vorrei fondamentalmente un mondo che faccia dell’unicità delle persone una ricchezza e un valore aggiunto anziché un problema”.

E qual è il modello di società che sogna?

“Sogno una società che sia equa, nella quale ci sia giustizia sociale. Ma soprattutto una società alla base della quale ci siano le persone come individui e nella quale si torni ad avere tempo per ascoltare davvero il prossimo. Ad ascoltare per sentire cosa l’altro ha da dire, non per decidere cosa rispondere”.

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