Quando va bene, ti ignorano. Complimenti? Quasi mai. È già un successo se non ti insultano. Il diritto di sbagliare è riconosciuto a tutti i protagonisti in campo ma non a te: sei un arbitro. Invece molti di quelli che ti circondano (giocatori, dirigenti, spettatori) ritengono di avere il diritto di dirti di tutto, urlarti contro, mancarti di rispetto. Fino a veri e propri comportamenti minacciosi o addirittura violenti.

Scendere in campo con un fischietto non è mai stata un’attività particolarmente gratificante, e ogni volta che si vede un direttore di gara aggredito, anche solo verbalmente, per una sua decisione, viene da pensare: ma chi glielo fa fare? Ecco, il problema è che anche i futuri arbitri se lo stanno chiedendo sempre più spesso. Alcuni studi accademici (provenienti dalla Gran Bretagna, ma applicati a tutta l’Europa), diffusi in occasione degli ultimi campionati europei di calcio, mostrano che il reclutamento delle giovani leve del settore sta diventando anno dopo anno più difficile, non solo nello sport in questione ma un po’ in tutte le discipline di squadra. E la causa principale va appunto ricercata nei rischi che si corrono.

Non compensati, per altro, da retribuzioni che aiutino a passarci su: secondo i calcoli pubblicati da Calcio e finanza al termine della stagione calcistica 2022-2023, gli arbitri della serie A italiana avevano guadagnato, nell’annata, da un minimo di 46.600 a un massimo di 86.800 euro. Cifre di tutto rispetto, ma di cui può beneficiare una ristretta élite: per arrivare a quel livello, sono necessari vari lustri di pratica nei campetti polverosi di periferia, soli in balia di tifoserie senza alcun controllo, magari dopo trasferte disagevoli. Se in cambio di tutti questi sacrifici un giovane arbitro deve anche rischiare l’incolumità, facile che interrompa prematuramente la carriera.

“Ne mancano 40mila”

È appunto quello che sta succedendo, come hanno scritto sulla rivista di divulgazione scientifica “The Conversation” due docenti dell’Università di Coventry, Tom Webb e Harjit Sekhon. È sempre più difficile trattenere gli arbitri nel calcio dilettantistico, affermano i due studiosi, citando varie analisi di diversi ricercatori; ma del resto pochi mesi fa lo stesso responsabile arbitri dell’Uefa, l’italiano Roberto Rosetti, aveva pubblicamente rivelato che “ogni anno, più o meno uno su sette ufficiali di gara registrati decide di abbandonare”. Fatti i conti, ha aggiunto, “nelle 55 Leghe professionistiche del continente mancano circa 40mila arbitri”. Nel Regno Unito, secondo i dati riportati nell’articolo di Webb e Sekhon, in cinque anni sono andati via in 10mila.

Le intemperanze nei loro confronti non sono l’unica ragione di questa crisi di vocazioni, ma sicuramente pesano molto. Anche perché adesso gli attacchi possono arrivare pure dai social media. Il mondo anglosassone ha codificato l’acronimo Moa (Match official abuse, ossia abusi sui direttori di gara) per raccogliere tutti i casi di violenza, fisica o verbale, diretta o social, nei confronti di quelle che un tempo erano le “giacchette nere”, ora perlopiù sostituite da divise fluo. Per reclutare i 40mila fischietti mancanti, la Uefa ha lanciato una campagna promozionale che vede come principale testimonial Michael Oliver: l’inglese che secondo Gianluigi Buffon aveva “un bidone di immondizia al posto del cuore” per aver dato un rigore al Real Madrid contro la Juve, al 90esimo minuto di una gara di Champions’ League. Dopo quell’episodio, non solo Oliver fu bersaglio di attacchi pesanti su Twitter e altre piattaforme, ma persino la moglie (che a sua volta scende in campo per arbitrare, ma nella Premier League femminile) fu oggetto di pesanti minacce addirittura sul suo numero di cellulare, diffuso da qualche scriteriato sempre sui social media.

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Il cartellino rosso mostrato dall'arbitro Michael Oliver a Gianluigi Buffon al termine di Real Madrid-Juventus dell'aprile 2018

Gli inglesi, per altro, sanno essere sia vittime che carnefici: quando lo svizzero Urs Meier, agli Europei del 2004, annullò un gol decisivo dell’Inghilterra contro il Portogallo, il Sun pubblicò l’indirizzo email dell’arbitro (all’epoca non si usavano Facebook e affini) e circa 16mila tifosi britannici gli scrissero messaggi violentissimi.

Ai livelli di base

Ma forse sono ancora più gravi le aggressioni ad arbitri giovanissimi nei campetti minori, dove la vicinanza del pubblico e l’isolamento del direttore di gara facilitano il contatto fisico. Nell’articolo su “The Conversation” Webb e Sekhon riferiscono che, nel Regno Unito, sono state comminate “pene fino a otto anni per abusi fisici su arbitri uomini e donne, che sono stati presi a calci, testate, pugni e sputi”. Fino alla clamorosa contestazione messa in atto un fine settimana del novembre 2021, quando “tutti gli arbitri di 13 e 14 anni del Northumberland hanno scioperato per protestare contro i livelli di abusi che stavano ricevendo da genitori e allenatori”. A dimostrazione dell’universalità del problema, i due studiosi aggiungono che “il nostro recente sondaggio su circa 1.300 arbitri di calcio in Europa, Oceania e Nord America suggerisce che l'abuso degli ufficiali è ormai endemico a tutti i livelli del gioco. In un altro studio, oltre il 93% degli arbitri di calcio ci ha detto di essere stato abusato verbalmente, mentre quasi uno su cinque ha segnalato abusi fisici. Circa la metà degli arbitri che abbiamo contattato afferma di stare pensando di abbandonare il gioco”.

Molte possono essere le ragioni di questi comportamenti inaccettabili, ma c’è la generale convinzione che il cattivo esempio dato dalle squadre di primo livello, e visto da tutti in tv, sia la causa principale. In un recente incontro con i rappresentanti europei degli arbitri e lo stesso Rosetti, tutti hanno concordato sul fatto che le immagini degli ufficiali di gara circondati da giocatori urlanti, o insultati platealmente da allenatori e dirigenti, abbiano una ripercussione diretta sul comportamento del pubblico e dei calciatori nello sport di base. Si dice che spesso i cambiamenti culturali debbano partire dal basso, ma non è sempre vero: in questo caso, una maggiore severità ai massimi livelli, nei confronti delle proteste e degli atteggiamenti scorretti, potrebbe avere un’importante funzione pedagogica su tutta la “filiera” del calcio europeo.

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