Nella palude delle leggi dimenticate c’era addirittura un regio decreto del 1874 emanato per aumentare «il numero dei fuochisti del Regio lanciasiluri Pietro Micca», una nave della marina militare del Regno d’Italia, entrata in funzione nel 1877 e dismessa nel 1893. Uno dei ventimila regi decreti (superati dalla Storia ma formalmente ancora in vigore) che assieme a decine di disposizioni firmate del Duce e a una mole di decreti luogotenenziali contribuivano al disordine legislativo, all’ipertrofia normativa che in Italia conta ben 250 mila leggi. Una stima fatta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, ma la verità è che nessuno conosce con precisione il loro numero, nemmeno tra gli addetti ai lavori.

La semplificazione

Dopo il primo disboscamento fatto nel 2010 dall'allora ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, tra marzo e agosto scorsi sono stati cancellati dal Consiglio dei ministri - su proposta della ministra per le Riforme Maria Elisabetta Casellati - altri 22.574 provvedimenti dell’Italia pre repubblicana. Tra questi, appunto, migliaia di regi decreti risalenti agli ultimi decenni dell'Ottocento, come quello del 1877 che disponeva la tassa sugli atti dei matrimoni celebrati di notte, uno che imponeva un balzello sul bestiame, altri sulla neve, sulle latrine, sull’allevamento e l’impiego dei piccioni viaggiatori. C’era persino una norma del 1866 che dava “piena ed intera esecuzione alla Dichiarazione firmata in Cairo il 21 dicembre 1885, concernente la soppressione della tratta degli schiavi”. Scorrendo l’elenco, si nota il decreto che istituiva il Regolamento amministrativo-contabile della Regia Azienda Monopolio Banane, quello delle Modificazioni al regolamento sulla requisizione dei quadrupedi e dei veicoli per il Regio esercito e per la Regia Marina; la Costituzione del Consorzio di colonizzazione di Genale nella Somalia italiana, la Soppressione dell’Istituto nazionale per il risanamento antimalarico della Regione Pontina.

«Difficoltà interpretative»

Migliaia di norme vetuste, ha spiegato la ministra Casellati, che «pur avendo esaurito i loro effetti, sono ancora presenti nel nostro ordinamento generando difficoltà interpretative e contenziosi che ingolfano i tribunali». Solo la prima tappa, ha aggiunto la responsabile delle Riforme, «del percorso di semplificazione che, assieme al governo, intendo portare avanti per rendere più facile la vita dei cittadini e l’Italia un Paese più moderno e competitivo».

Un intervento utile?

Ma, al di là, dell’evidente disordine normativo, ha senso parlare di semplificazione cancellando leggi vecchissime e ovviamente superate? Secondo diversi costituzionalisti eliminare norme così antiche, e ormai inapplicate, non porta nessun cambiamento rilevante alla vita di un cittadino. Sarebbe ben più utile evitare di approvare nuove leggi che vanno ad aggiungersi a quelle già esistenti su una stessa materia, complicandone l’applicazione e creando, questa volta concretamente, disordine normativo.

© Riproduzione riservata