I tentacoli della criminalità organizzata in piena pandemia, affari sporchi perfino sui dispositivi di protezione individuale, truffe, operazioni di riciclaggio. Il Covid-19 ha portato con sé dolori e lutti, fatto precipitare l’Italia sull’orlo del baratro e nello stesso tempo, stuzzicato gli appetiti forti della malavita. Segnali e dati allarmanti che hanno sollecitato l’attenzione degli organismi di vigilanza, della magistratura, a partire dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, e delle forze dell’ordine.

Preoccupazioni fondate, visto che durante il 2020, primo anno della pandemia, l’Unità di informazione finanziaria (UIF) istituita quattordici anni fa presso la Banca d’Italia ha ricevuto dal sistema bancario e dagli altri soggetti obbligati 113.187 segnalazioni di operazioni sospette (+7 per cento rispetto al 2019). Il dato è contenuto  nella Relazione sulla prevenzione e la repressione delle attività predatorie della criminalità organizzata durante l’emergenza sanitaria presentata di recente dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali.

“Significativo è stato il numero di segnalazioni direttamente riconducibili, secondo i criteri di selezione e analisi della UIF, al fenomeno Covid-19. Si tratta di 2.257 segnalazioni di operazioni sospette (circa il 2 per cento del totale) di cui la gran parte (1.502) ricevute nella seconda metà dell’anno, con un forte aumento (da 667 milioni di euro a 5,2 miliardi di euro) degli importi delle operazioni riferibili principalmente a tentativi di truffe nell’ambito dell’emergenza sanitaria”. Oltre a tali segnalazioni, riconducibili direttamente agli effetti della pandemia, si registra un incremento delle segnalazioni concernenti sospetti di abuso di finanziamenti pubblici, abusivismo finanziario, usura, nonché relativi all’utilizzo di polizze di pegno. Poco più del 20 per cento delle segnalazioni Covid-19 sono relative a operatività in contanti ritenuta anomala”.

Nel primo semestre del 2020 le segnalazioni di operazioni sospette arrivate alla Uif e collegate direttamente all’emergenza sanitaria erano state 663. “Il 59 per cento – osserva la Commissione d’inchiesta - riguardava sospetti (in molti casi rivelatisi fondati) di truffe e illeciti nella fornitura di strumenti e dispositivi sanitari, nonché difficoltà nell’adeguata verifica; il restante 41 per cento era connesso a operatività anomala in contanti comunque collegata alla fase di lockdown”.

L’Uif si è dimostrata ovviamente attrezzata ad analizzare il fenomeno e fornire strumenti utili a fronteggiarlo, definendo “nei propri processi di lavoro, specifici criteri per la ricerca, l’estrazione e la marcatura delle segnalazioni connesse con l’emergenza sanitaria, nonché – si legge nella Relazione - un sistema di classificazione di tali segnalazioni in base ai rischi sottostanti, in modo da poter rilevare prontamente le anomalie collegate a sospetti di reati ovvero la presenza di soggetti già coinvolti in indagini o procedimenti e realizzare un celere ed efficace coordinamento con gli organi investigativi, focalizzato su tale tipologia di segnalazioni”. Determinante ovviamente per disinnescare le minacce la collaborazione tra Uif e  Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dnaa) con la quale sono stati avviati controlli incrociati per verificare eventuali corrispondenze tra i nominativi delle segnalazioni Covid-19 e i nominativi presenti nelle banche-dati della Dnaa, per smascherare subito le infiltrazioni mafiose. Al tavolo tecnico convocato ad hoc, oltre all’Uif e alla Dnaa, sedevano anche Guardia di finanza e Agenzia delle dogane, visti i loro rispettivi ruoli nelle attività di controllo in ingresso e in uscita di «merce sensibile» dagli spazi doganali nazionali.

La strategia per intercettare, reprimere e sanzionare operazioni illecite (“il rischio emergente dalle analisi dell’Unità di informazione finanziaria”) ovviamente si è concentrata sulle misure che avrebbero potuto prestarsi ad abusi da parte della criminalità finanziaria e, in particolare, su quelle dirette a sostenere la liquidità mediante forme di credito assistite da garanzia pubblica. Spiega la Commissione: in considerazione di ciò, l’Uif, come del resto altri interlocutori istituzionali e Forze di polizia, aveva suggerito al legislatore l’adozione di accorgimenti e modifiche normative quali l’impiego del «conto dedicato», al fine di agevolare la tracciabilità dei flussi finanziari ottenuti in conseguenza dell’accesso al credito (previsto solo con riguardo ai finanziamenti garantiti da Sace, la società per azioni della Cassa Depositi e Prestiti, specializzata nel settore assicurativo-finanziario).

Molte le situazioni in cui si annida il rischio dell’illegalità. “Con riferimento al trasferimento a terzi del credito fiscale – osserva la commissione d’inchiesta sulle mafie - non sono stabilite limitazioni al numero di cessioni né alla tipologia di cessionari ammissibili. La cessione può avvenire sia in favore di banche e intermediari finanziari sia di altri soggetti non tassativamente indicati, quali fornitori di beni e di servizi necessari alla realizzazione degli interventi, persone fisiche, società ed enti”. Grazie alle maglie larghe della legislazione, è dunque possibile in astratto che capitali illeciti siano utilizzati per acquisti di crediti fiscali a fini di riciclaggio. La Commissione ha quindi auspicato che vada monitorata “attentamente l’operatività nel comparto, soprattutto nel caso di crediti acquistati in misura massiva, per importi di rilevante ammontare e in relazione ad altri indicatori di rischio soggettivi e oggettivi”.

In questo contesto, con riguardo più specifico ai temi della presente Relazione, assume particolare rilievo, nella condivisione delle informazioni, il profilo dei soggetti che presentano le istanze di ammissione ai benefici, specie se noti per il coinvolgimento in indagini o per la connessione con contesti criminali.

Anomalie sintomatiche di illeciti connessi con le forniture di prodotti medicinali o dispositivi di protezione possono essere rappresentate dalla presenza di società che offrono attività d’intermediazione nel settore sanitario, quando essa non rientri nel loro oggetto sociale ovvero vi sia stata inclusa di recente o i cui volumi non appaiano coerenti con il fatturato dei precedenti esercizi. Soddisfatto l’autore della relazione, il deputato del Pd Paolo Lattanzio, membro della Commissione.

Paolo Lattanzio (foto paololattanzio.it)
Paolo Lattanzio (foto paololattanzio.it)
Paolo Lattanzio (foto paololattanzio.it)

“La mia relazione – ha scritto di recente il parlamentare in una nota – è stata votata all’unanimità. È un grande risultato perché è il riconoscimento di un anno di lavoro del Comitato che presiedo, un lavoro di analisi dei fenomeni e dei trend di aggressione mafiosa delle economie e delle comunità sociale che si è concretizzato in un documento che contiene, oltre alle analisi, alcune proposte di intervento condivise da tutti i partiti, cosa che mi rende molto orgoglioso. Non significa essere arrivati a un punto fermo: il lavoro del comitato continuerà con l'obiettivo di continuare a indagare l’evolversi dei fenomeni mafiosi in epoca Covid e troverà una nuova sfida con l’arrivo delle risorse previste dal PNRR che offrono, è evidente, ulteriori opportunità di business e guadagno alle famiglie criminali. Il Comitato non farà soltanto indagine ma anche proposte per essere un pungolo costante per il Governo, come già fatto durante la stesura del Piano all'interno del quale abbiamo portato la voce e la sensibilità sulla tutela legalità e sul contrasto a tutte le mafie”.

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