Cambiano le regole: in automatico i figli avranno il cognome di entrambi i genitori, con l’ordine che loro sceglieranno. In alternativa la coppia potrà attribuire al neonato solo il cognome del padre o solo quello della madre. E questo vale per i bambini nati nel matrimonio ma anche per i discendenti delle coppie di fatto e per i figli adottivi.

Tutto questo succederà perché la Corte Costituzionale, dopo aver –  invano – invitato il Parlamento a legiferare sul punto, ha valutato illegittime le norme che impongono l’automatica attribuzione del cognome del padre ai figli. Secondo i giudici la regola del patronimico non solo è discriminatoria nei confronti delle donne ma anche lesiva dell’identità del figlio.

Sarà sicuramente un caso ma la decisione è stata redatta da una giudicessa, Emanuela Navarretta.

In attesa del deposito della sentenza, prevista per le prossime settimane, attraverso il comunicato diffuso dalla stessa Corte sappiamo che il verdetto è legato al fatto che le leggi in vigore contrastano con gli articoli 2, 3 e 17 della Costituzione, l’ultimo, in particolare, se rapportato agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

In molti hanno parlato di sentenza storica che apre una crepa nel patriarcato. L’origine è legata al ricorso di una coppia nel lucano: i primi due figli, nati prima del matrimonio, erano stati registrati col cognome della madre. Dopo il matrimonio era arrivato un terzo bambino al quale – automaticamente - come previsto dalla legge, è stato attribuito il nome del padre. Il risultato è che i tre fratelli hanno cognomi diversi. Per cercare di ovviare all’inconveniente i genitori avevano chiesto al Comune di aggiungere il cognome della madre al terzogenito. Ma era stato inutile. A quel punto non restava che il ricorso in Tribunale. Perso. Dì lì l’impugnazione in appello dove i giudici avevano sollevato il caso davanti alla Corte costituzionale. Che ha preso questa decisione sei anni dopo un’altra, dello stesso tenore: senza un accordo dei genitori al figlio viene dato il cognome del padre. Secondo i giudici le norme in vigore sono retaggio di “una concezione patriarcale della famiglia e della potestà maritale, non più compatibile col principio costituzionale della parità fra uomo e donna”. In quell’occasione la Corte aveva invitato il Parlamento a legiferare ma, nonostante il lungo trascorrere del tempo, una legge ancora non si era vista. Tanto che l’anno scorso, d’iniziativa, la Corte costituzionale aveva aperto una questione di legittimità della normativa sul cognome. Ma neanche allora il Parlamento si era attivato. Ed è arrivata la decisione di questi giorni.

Sul tema c’è da sottolineare che dal 2017 in Italia è possibile affiancare il cognome materno a quello del padre, con l’accordo dei genitori: la procedura è di tipo amministrativo. Se i genitori sono sposati il cognome materno è il secondo e non c’è possibilità di inversione, ai figli non può invece essere attribuito solo il cognome della madre.

Che il tema sia particolarmente sentito si intuisce dal fatto che anche un altro tribunale ha sollevato il caso. E allora, per evitare ricorsi ai giudici di merito, è necessaria una legge. In verità un testo è già in discussione davanti alla commissione Giustizia del Senato e ora tutti auspicano che proceda veloce. Del resto servono regole chiare per la gestione pratica di una situazione che potrà apparire complicata dopo la prima generazione.

Il costituzionalista Alfonso Celotto sottolinea in un articolo su Formiche.net che “non sappiamo ancora con certezza quale sarà la portata di questa decisione: cambierà la regola per i nascituri o per tutti noi? I figli che nasceranno da genitori con due cognomi ne avranno sempre due o quattro? Potranno esserci fratelli con cognomi diversi? E cosa accade col codice fiscale? Lo cambieremo tutti?”.

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