Nino, sì, proprio lui, sempre lui, quello che non doveva avere paura di tirare un calcio di rigore, non vedeva l’ora di crescere e di giocare con la maglia numero sette. Anche Cristiano Ronaldo ha sempre avuto una predilezione per quella maglia, che ha indossato sin da quando, nella stagione 2003-04, e passato dal suo Sporting Clube de Portugal (o Sporting Lisbona, dove aveva la 28) al Manchester United. Da allora, per 23 stagioni, quella è stata la sua maglia, il suo numero, il suo marchio (CR7), anche commerciale. Si piegò una volta sola, nella stagione 2009-10, quando fu acquistato dal Real. A Madrid c’era un certo Raul Gonzales Blanco e la 7 era sua. Cristiano non era ancora così potente da avere certe pretese, non poteva permettersi di far “spostare” Edinson Cavani come ha fatto quando è tornato a Manchester l’anno scorso e, per una stagione, si dovette adattare a essere CR9. Si vendicò, per modo di dire: a fine stagione Raul non rinnovò ed emigrò alla Shalcke 04 per chiudere la carriera (ma tornò subito e oggi allena il Castilla, la squadra B), e Ronaldo battè tutti i suoi record di segnature con la camiseta blanca. Naturalmente, la 7 vacante trovò subito il suo proprietario. Un onore e un onere quando giochi al Bernabeu, dove ad ogni partita al minuto 7, la gente inneggi all’amatissimo Juanito (morto ad appena 38 anni in un incidente d’auto), cantando “Illa illa illa, Juanito Maravillla”.

Cristiano Ronaldo con la maglia numero 9 che ha indossato solo nel 2009-10 al Real Madrid (AP, archivio L'Unione Sarda)
Cristiano Ronaldo con la maglia numero 9 che ha indossato solo nel 2009-10 al Real Madrid (AP, archivio L'Unione Sarda)
Cristiano Ronaldo con la maglia numero 9 che ha indossato solo nel 2009-10 al Real Madrid (AP, archivio L'Unione Sarda)

Un numero magico

Inutile dire che, a Manchester, quel numero è altrettanto prestigioso: basta citare George Best e David Beckham per capire che Ronaldo è in ottima compagnia. E se per il primo la maglia era indice del ruolo, per l’altro è esclusiva, come avviene da quando i numeri sono assegnati a ciascun giocatore in modo permanente per tutto l’anno. Non è stato sempre così ovviamente. Un tempo i numeri andavano dall’1 del portiere all’11 dell’ala sinistra e le stravaganze tipo il 14 concesso a Cruijff o il 5 di Falcao erano più uniche che rare. Le stranezze capitavano soltanto ai mondiali quando si poteva vedere il centrocampista argentino Ardiles con il numero 1 o il portiere olandese Jongbloed con l’8. La regola era che da quegli undici non si usciva. Semmai alle maglie ci si affezionava perché era difficile che la formazione cambiasse: le rose erano ridottissime sino agli anni Ottanta, la squadra era quella, l’elenco era fisso e i tifosi lo sapevano a memoria e lo recitavano come l’avermaria.

La lite per la maglia

Torniamo al numero sette, quello dell’ala destra, quello di Claudio sala, il “poeta del gol” o di Franco Causio, il “barone”, più che di Bruno Conti, che poteva capitare di vedere anche con un meno frequente 11. Loro magari ci erano affezionati, ma non per tutti era così. E allora, dato che sono giusto passati cinquant’anni e che questa ricorrenza si è soliti celebrarla, per una volta non citiamo un fatto storico o memorabile, ma una piccola curiosità. Una lite minima, che oggi nell’era dei social avrebbe suscitato like e commenti a profusione, avrebbe spaccato le tifoserie e fatto discutere gli youtubers dai loro selfie-pulpiti. Una lite che coinvolse due tra i più amati e discussi giocatori-rivali degli anni Sessanta e Settanta. Sì, proprio loro, quelli della famigerata staffetta del 1970: Gianni Rivera e Sandro Mazzola. Che finirono per montare una polemica proprio sulla benedetta maglia numero sette. Perché due come loro, i capitani dei derby della Madoninna, l’uno casciavìt milanista, l’altro bauscia interista, erano capaci di litigare anche quando il ct Ferruccio Valcareggi decideva di farli giocare entrambi.

La pagina dell'Unione Sarda del 5 ottobre 1972 con la chiusura della polemica sulla maglia (archivio Us)
La pagina dell'Unione Sarda del 5 ottobre 1972 con la chiusura della polemica sulla maglia (archivio Us)
La pagina dell'Unione Sarda del 5 ottobre 1972 con la chiusura della polemica sulla maglia (archivio Us)

Il litigio di Varese

E veniamo ai fatti, premettendo che questo titoletto (il litigio di Varese), è inventato, non ha valenza storica, non è mai stato menzionato in questo modo e, insomma, non è come “la disfida di Barletta” o il “rumble in the jungle”. È solo che lì, dalle parti di casa di Riva, la Nazionale era in ritiro prepartita prima di affrontare nientemeno che la trasferta in Lussemburgo. Una partita il cui unico scopo era dare all’Italia vicecampione del mondo due punti utili a qualificarsi per Germania 1974: una certa noia nella vigilia era comprensibile. L’aria di casa ringalluzzì Gigi, che ai giornalisti in quei giorni disse chiaro e tondo che per vincere una partita a Cagliari dovevi fare molto più di quello che serviva in una grande città (“Per ottenere dieci devi fare tredici o anche quindici”, sintetizzò polemico). Ma la questione centrale era un’altra: Rivera e Mazzola erano designati per giocare titolari e la maglia numero 10 era una sola. Chi l’avrebbe indossata? Sandro, il baffuto interista, non ci stava: lui la 7 non la voleva. Rivera la 10 non la lasciava. Si pensò perfino di non utilizzare la 10 e dare a loro due numeri “neutri” come 13 e 14. Alla fine il buon senso prevalse, il figlio del grande Valentino accettò la sette e la polemica sparì nel nulla, da dove era arrivata. Tutto tornò alla normalità: quattro a zero per l’Italia, doppietta di Gigi Riva, reti di Chinaglia (lui sì che l’avrebbe fatta grossa la polemica due anni dopo!) e di Fabio Capello. Uno che, più tardi, diventò un allenatore che certe cose non le avrebbe fatte passare lisce.

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