Mai data poteva essere più azzeccata per avviare una mostra in cui il tema femminile è a dir poco centrale. Lo scorso 26 novembre, infatti, è stata aperta a Roma, a Palazzo Barberini, un’esposizione che lascerà certamente il segno nel panorama artistico italiano, così come lo hanno lasciato i protagonisti della mostra “Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento”. Una vera perla curata da Maria Cristina Terzaghi, docente di storia dell’arte a Roma Tre e grande studiosa di Caravaggio e dei “caravaggeschi”, tra cui Artemisia Gentileschi, pittrice che ha rappresentato una figura moderna e innovativa nella sua epoca così come il maestro Merisi.

I dipinti

Tutto nasce da un quadro che ha fatto la storia della pittura degli albori del 1600. Il dipinto che Michelangelo Merisi, conosciuto da tutti come Caravaggio, realizzò sul mito biblico di Giuditta, entrato con grande forza nell’immaginario collettivo, aprì una strada che poi venne seguita da tanti pittori, a iniziare proprio da alcune donne, come Artemisia Gentileschi e anche Fede Galizia, artista milanese riscoperta negli ultimi anni anche dal grande pubblico. In un percorso che racchiude 31 dipinti, divisi in quattro sezioni, la mostra di palazzo Barberini ci porta in un bellissimo cammino storico artistico che ruota intorno al personaggio della Bibbia (secondo il libro sacro Giuditta liberò la città di Betulia assediata dagli Assiri del re Nabucodonosor. Della sua bellezza si invaghì Oloferne, loro generale, il quale la trattenne con sé al banchetto: una volta ubriaco, Giuditta gli tagliò la testa con la sua stessa spada e poi ritornò nella città).

Le tele arrivano dai più importanti centri d’arte del mondo, dalla Galleria Borghese di Roma, fino al museo Capodimonte di Napoli e al Prado di Madrid. E mentre Caravaggio, con la sua dirompente pittura, volle mettere in scena il delitto e l’emozione culminante nel momento della morte, immedesimandosi in Oloferne, Artemisia Gentileschi vede l’episodio dal lato delle donne, e soprattutto delle donne ferite. Nella Giuditta della pittrice nata a Roma e vissuta per molti anni a Napoli, c’è il riscatto della donna, soprattutto di chi come lei visse una violenza per la quale il suo aguzzino non venne neanche condannato, nonostante un processo. Le cronache di allora raccontano infatti che l’artista venne violentata da Agostino Tassi, pittore a cui Artemisia fu affidata dal padre Orazio Gentileschi. Una scelta che segnò profondamente la vita della pittrice e che ritorna nelle sue opere, compresa la figura di una vicina di casa, Tuzia, che sarebbe stata complice dello stupratore.

Il dipinto di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, dedicato al mito di Giuditta e Oloferne
Il dipinto di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, dedicato al mito di Giuditta e Oloferne
Il dipinto di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, dedicato al mito di Giuditta e Oloferne

La storia

Da Caravaggio ad Artemisia Gentileschi, dunque, cambia la prospettiva dell’artista ma non la bellezza del risultato. Il dipinto di Caravaggio ritorna in auge a 70 anni dalla sua riscoperta, avvenuta nel 1951 grazie al restauratore Pico Cellini. Dopo aver visitato la leggendaria mostra milanese sul Merisi del 1951, curata da Roberto Longhi, Cellini si ricordò di un quadro che aveva visto da giovane in un palazzo romano. Riuscì a rintracciarlo e mostrarlo a Longhi, che per quel clamoroso ritrovamento ottenne quindici giorni di proroga della mostra al fine di poterlo esporre. Nel 1971 il quadro, comprato per 250 milioni di lire, divenne poi patrimonio statale.

La tela venne dipinta agli albori del ‘600 su commissione del banchiere Ottavio Costa e gelosamente custodita dal proprietario che fece di tutto per evitare che venisse conosciuta, tanto da proibirne la vendita anche dopo la sua morte. Eppure l’eco di questo dipinto fu tale che segnò un prima e un dopo nella pittura tra il XVI e XVII secolo e venne utilizzato come soggetto da tanti artisti che negli anni successivi presero spunto da Caravaggio, pur non avendo forse mai visto l’originale.

Il confronto

Potrebbe essere accaduto questo anche per Artemisia Gentileschi che si misurò con il padre Orazio nel ritrarre il mito di Giuditta e Oloferne. La pittrice romana si immedesimò nella Giuditta biblica, ne esaltò la teatralità del tema e scelse di ritrarre una donna forte, esempio di virtù e soprattutto capace di vendicarsi del suo aguzzino. “Questo progetto sulla pittura del '600 riesce a

riverberarsi sull’oggi: la data scelta per la presentazione della mostra è casuale, ma di certo offre l'occasione per un'ulteriore riflessione sulla questione femminile”, ha spiegato all’Ansa la direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica Flaminia Gennari Santori, riferendosi al 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. “L’idea della mostra è nata per indagare la differente modalità di visione delle opere da parte di artisti, pubblico e committenti. La Giuditta di Caravaggio non doveva essere vista, eppure ha avuto un impatto straordinario. Poi con Artemisia e suo padre la scena si è trasformata ancora, innescando un'urgenza emotiva diversa”. “Caravaggio si immedesima in Oloferne, per interrogarsi su cosa accade nel momento della morte. Artemisia da donna si immedesima invece in Giuditta”, afferma la curatrice della mostra Maria Cristina Terzaghi, “non sappiamo se la pittrice vide la tela di Caravaggio ma di certo le arrivò la sua eco inarrestabile. Per Caravaggio Giuditta è un’eroina intenta nella sua missione, come si vede dalla fronte corrucciata e dallo sguardo concentrato mentre compie la volontà di Dio. Questo non c’è in Artemisia: nella sua tela emerge la preoccupazione di come una donna possa uccidere un condottiero. Poi c’è la differenza della serva accanto a Giuditta: in Caravaggio è una donna anziana, a contrasto con la bellezza della protagonista, due opposti che si esaltano a vicenda. Artemisia invece rappresenta una serva giovane, forse rievocando il suo drammatico vissuto personale. Dopo lo stupro subito da Agostino Tassi l’artista infatti accusò l’amica Tuzia di non averla aiutata. Di certo, le due tele sono accomunate dall’idea dell’acme dell’azione che costruisce la storia e il suo racconto. In questo Artemisia è caravaggesca”. La pittrice romana peraltro è autrice di più tele sul tema, tra le quali una conservata al Museo di Capodimonte di Napoli, forse la rappresentazione più famosa, in cui Giuditta è iconica e quasi truculenta nella scena dell’omicidio, e quella, molto diversa, apprezzabile agli Uffizi (Palazzo Pitti). Due immagini che riportano in auge un tema, quello della violenza sulle donne, che purtroppo continua a trovare troppo spazio nelle cronache quotidiane.

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