Il bullismo non conosce età. Chi pensa infatti che le violenze psicologiche e fisiche, le prevaricazioni e le intimidazioni quotidiane siano solo problemi per studenti di ogni ordine e grado si potrebbe forse stupire che all’interno degli ambienti lavorativi si sta sempre più diffondendo una nuova forma di vessazione che colpisce professionisti e dipendenti: si tratta del workplace bullying “una forma di comportamento sociale di tipo violento e ripetuto nel tempo attuato nei confronti di colleghi e collaboratori”, spiegano gli autori dell’approfondimento condotto da Espresso Communication per Great Place to Work Italia.

Emergenza

“Il bullismo trova linfa all’interno degli ambienti lavorativi a tal punto da essere definito da HR Executive come fonte di una epidemia fuori controllo. E i numeri delle statistiche più aggiornate sembrano confermare non si tratti di un’esagerazione: secondo i dati del Workplace Bullying Institute, negli Stati Uniti addirittura oltre 7 dipendenti su 10 (75%) dichiarano di essere stati bersagli o di aver assistito ad atti di bullismo sul posto di lavoro per un totale che va oltre i 79 milioni di collaboratori coinvolti.

Il fenomeno, cresciuto fino a ora nel silenzio, sta emergendo in tutta la sua gravità anche grazie all’intervento delle stesse aziende. In realtà non tanto per spirito compassionevole nei confronti dei propri dipendenti, ma perché il bullismo professionale “può causare sia danni fisici sia un crescente stato di angoscia mentale, nonché alto assenteismo e rotazione dei dipendenti, bassa produttività e, di conseguenza, danni alla reputazione di un’azienda”.

L’esperto

Per far fronte all’emergenza molte aziende sono corse al riparo affidandosi a professionisti appositamente formati: si sta quindi facendo spazio la figura del responsabile d’azienda, “chiamato ad ascoltare il proprio team operativo – spiegano gli autori dello studio - per trovare soluzioni mirate a mantenere ottimale il benessere organizzativo dell’ambiente di lavoro”. Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia, azienda di consulenza leader nell’analisi del clima aziendale, nell’employer branding e nel change management, conferma: “La pandemia ha ulteriormente rafforzato una problematica già esistente. All’interno di ogni workplace è fondamentale avere, anzi percepire un clima aziendale ed organizzativo produttivo e stimolante. Per questo motivo, i capi d’azienda sono e saranno sempre più importanti. I collaboratori necessitano di essere ascoltati: solo così è possibile trovare soluzioni mirate, tempestive ed efficaci per contrastare un fenomeno che si sta diffondendo a macchia d’olio in buona parte dell’universo professionale e lavorativo. A tal proposito sono numerosi gli esempi di aziende virtuose che si impegnano quotidianamente per contrastare la problematica: queste imprese, oltre ad ascoltare le singole persone, le supportano all’interno degli ambienti di lavoro e creano iniziative, policy e benefit per occuparsi del loro benessere psicofisico. E noi, come Great Place to Work, ne abbiamo la prova grazie alle nostre survey e, allo stesso tempo, alle testimonianze delle Certified Companies e dei Best Workplaces”.

Fenomeno mondiale

E per spazzare i dubbi di chi, scettico, può pensare a un fenomeno fertile solo oltre oceano, basta scorrere le indicazioni del portale britannico People Management, secondo cui più di un quarto dei collaboratori coinvolti in un recente sondaggio afferma di essere stato vittima di vessazioni all’interno del proprio workplace. E ancora, secondo l’Irish Times il 9% dei lavoratori irlandesi ha subito atti di bullismo. “Gli effetti psicologici correlati a queste esperienze negative risultano devastanti: i professionisti coinvolti, infatti, hanno maggiori probabilità di avvertire problemi di salute mentale come ansia e depressione. Ma non è tutto, il bullismo sul lavoro risulta un topic d’interesse anche sui social: l’hashtag #workplacebullying, infatti, conta oltre 19mila contenuti pubblicati su Instagram per raccontare la problematica attraverso il web”.

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