Ha raccontato l’ultima favola ad Alfredino. «Sai, ho una barca che va per mare. Quando usciamo da qui, io, tu e i miei tre bambini, andiamo a pescare». Un sogno che non poteva avverarsi, lo sapeva bene lui che aveva tentato inutilmente di afferrarlo. Il piccolo stava morendo, accarezzò il visino sporco di fango e tornò su nel budello di roccia e di terra, dentro l’imbragatura tirata dai vigili del fuoco. L’immagine di lui, in braccio a due pompieri, il sangue sul costato e sulle gambe, la ricordiamo tutti come una Pietà moderna, il sacrificio che non ha fugato la morte.

Angelo Licheri è morto il 18 ottobre a 77 anni stringendo a sè il ricordo del piccolo che non riuscì a salvare, la gratitudine della famiglia Rampi, una targa del Comune di Gavoi, suo paese natale, e la medaglia d’oro al valor civile che gli era stata conferita dal presidente della Repubblica Sandro Pertini. È stato lui l’uomo che la notte del 12 giugno 1981, calatosi a testa in giù per 61 metri e 45 minuti dentro quel pozzo artesiano di Vermicino, ha smascherato l’inesistenza in Italia di una macchina dei soccorsi organizzata e l’improvvisazione che sempre ne seguiva a ogni allarme. Dopo il suo disperato sacrificio è nata la Protezione civile e si è cominciato a capire che a seguito di ogni allarme - dal bambino caduto nel pozzo al disperso in montagna, dal terremoto all’alluvione, all’incendio - l’intervento di soccorso non può pesare sempre e soltanto sui vigili del fuoco.

Viveva con una misera pensione, assistito dal personale di una casa di riposo a Nettuno. Oltre dieci anni fa il Centro Alfredo Rampi Onlus - l’associazione fondata da Franca Rampi, mamma del piccolo Alfredino, impegnata nella promozione della cultura della sicurezza e nella tutela dell’infanzia - ha chiesto al presidente della Repubblica l’assegnazione di un sussidio permanente, un vitalizio «per l’uomo che ha messo a repentaglio la propria vita per salvare qualcuno». Lo scorso giugno, i senatori di Italia Viva Giuseppe Luigi Cucca e Davide Faraone hanno presentato una mozione perché gli venisse riconosciuto il vitalizio previsto dalla legge Bacchelli. «Non si è riusciti a portarla in Commissione», spiega oggi il senatore Cucca.

«Non mi sento un eroe - diceva Angelo Licheri -, mi sento una persona che ha fatto di tutto per aiutare un bambino». Il 18 ottobre scorso, nel giorno della sua morte, sul sito del Centro Alfredo Rampi Onlus, è stato pubblicato un ricordo. «Vogliamo ricordare il valore, il coraggio, la tenacia e anche la simpatia del piccolo grande eroe, prototipo del volontario disposto ad andare “più in là”, cercando di superare ogni ostacolo per salvare una vita, “con il solo vessillo del proprio cuore”. Non sono frasi retoriche, che poco si sposerebbero con la schiettezza e l’umiltà di Angelo, ma nascono dalla conoscenza dell’uomo e dalla gratitudine nei suoi confronti».

Nel maggio 2011 era tornato a Gavoi per una serie di incontri con i bambini e i ragazzi delle scuole sui temi della solidarietà e della prevenzione, un’iniziativa del comitato Pro Angelo Licheri che aveva avviato una raccolta di fondi per aiutare il compaesano. Era già sulla sedia a rotelle, debilitato dal diabete, una gamba amputata.  

È stato il primo eroe mediatico, noto a tutti dopo che le telecamere lo immortalarono nella diretta televisiva a reti unificate attorno al pozzo di Vermicino, ma subito dimenticato. Era stato carne viva da macello per il primo caso della tivù del dolore, poi i riflettori si sono accesi sopra altre storie, sopra altre vite da vivisezionare. Quel giorno di primavera del 2011 i bambini di Gavoi gli fecero tante domande. Ci pensi ad Alfredino? Hai incontrato i suoi genitori? Avevi paura? Cosa hai detto, ad Alfredino, quando sei arrivato vicino a lui nel pozzo e hai capito che non potevi salvarlo? «Gli ho pulito il viso coperto di fango - rispose -. Prima di risalire, gli ho raccontato una favola». 

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