Gli arbitri sono pochi, la Figc e l’Aia (l’associazione di quelle che un tempo venivano chiamate giacchette nere) corrono ai ripari. Dividendo i campionati regionali tra il sabato e la domenica, potenziando le iniziative per far avvicinare i giovani alla direzione di gara e, qualora servisse, richiamando in “servizio” gli arbitri a riposo ma che ancora possono fischiare una punizione o un rigore, vedere un fuorigioco, sventolare un cartellino rosso sotto il naso di un calciatore colpevole di una grave irregolarità.

Il compito di rimettere in sesto la classe arbitrale sarda spetterà a Roberto Branciforte, 44 anni, nuorese, alla guida dell’Aia nell’Isola da luglio al posto del presidente uscente Marcello Angiuoni.  In passato Branciforte è stato, per cinque anni, componente del direttivo regionale e, per due, vicepresidente. Ancora prima, per anni è stato porgano tecnico nella commissione arbitri interregionale e mentor per il progetto Uefa. “Ho arbitrato fino alla Serie C facendo anche il quarto ufficiale in serie A e B – esordisce Branciforte - . Fuori dal campo mi occupo di mandare avanti un’azienda di riparazione di elettrodomestici”.

Passando subito allo stato di salute del mondo arbitrale sardo, quanti iscritti ci sono in Sardegna?

“La Sardegna conta 940  iscritti, in attività 624, di cui 105 donne. L’Isola  conta nove sezioni territoriali, cioè Alghero, Cagliari, Carbonia, Nuoro, Olbia, Oristano, Ozieri, Sassari e Tortolì”.

Quanti arbitri sono stati arruolati nell’ultimo anno?

“Gli ultimi corsi contano 161 iscritti con previsione di chiusura corso ed esame a fine mese. Partirà nell’immediato in tutte le sezioni un nuovo corso a dicembre”.

E quanti “ritiri” ci sono stati nell’Isola nell’ultimo anno?

“Ogni anno la perdita dell’organico oscilla intorno al 20 per cento”.

Quali sono le cause principali dell’abbandono?

“Sono prevalentemente legate all’ambientamento del neo immesso nelle prime gare che va a dirigere. L’ambiente talvolta ostile generato da  tesserati e pubblico che mal sopportano una decisione contro i propri interessi porta i ragazzi ad abbandonare la disciplina. L’ altra causa principale è da attribuirsi a spostamenti fuori dall’isola per necessità di studio o lavoro”.

L’arbitraggio è sempre considerato una missione?

“Diventa una missione se l’arbitro non viene considerato una componente del gioco del calcio. In tanti li giudicano convinti di saperne di più ma pochissimi avrebbero il coraggio di prendere un fischietto in mano e dirigere una gara anche fra amici. Le sezioni arbitri sono il vero collante perché vicine alle esigenze non solo sportive dei ragazzi, luoghi di aggregazione, confronto e crescita civica”.

Lei è stato calciatore: cosa l’ha spinta a passare dall’altra parte.

“Forse non ho più dato calci a un pallone a livello agonistico, ma l’amore per il gioco del calcio me lo ha fatto vivere da una prospettiva diversa. Ho tratto grandi benefici da questa disciplina non ultimo quello del rispetto del prossimo e delle regole del gioco”.

Il Covid ha peggiorato l’abbandono di questa disciplina?

“Sicuramente in tutti gli sport il Covid ha lasciato un segno indelebile per lungo tempo. Tanti ragazzi hanno abbandonato la pratica sportiva disaffezionandosi anche perché iniziare nuovamente da capo comporta grossi sacrifici fisici e motivazionali. Nell’arbitraggio la percentuale di abbandono rimane costante a prescindere ma purtroppo nei due anni di pandemia non è stato possibile fare corsi arbitri creando un vuoto difficile da coprire nel breve termine”.

La prima possibile soluzione è stata anticipare venti match dall’Eccellenza alla Seconda categoria. Sarà l’unica?
“Grazie ad una positiva sinergia con il Comitato regionale e al presidente Gianni Cadoni si è riusciti a tamponare provvisoriamente. Diverse società hanno capito, dimostrando maturità e attaccamento ai valori sportivi, e questo sicuramente è un punto di partenza positivo. Senza arbitro non si può giocare una partita di calcio e questa non può essere l’unica soluzione. A livello fisico i nostri ragazzi non possono reggere uno stress così intenso per tanto tempo. Formare un arbitro per l’Eccellenza necessita nel migliore dei casi 5/6 anni di attività e non uno da trovare per strada per arbitrare una gara come qualcuno pensa erroneamente”.

E’ possibile invertire il trend di questi tempi?

“Ai miei tempi dovevi scegliere se arbitrare o giocare, oggi esiste il doppio tesseramento e un ragazzo può giocare e arbitrare in campionati federali. E’ una svolta epocale che prova a scardinare la politica del sospetto sicuramente viva per la mia generazione ma abbastanza desueta e talvolta incomprensibile per le nuove generazioni. Le società di calcio hanno l’opportunità nei fatti di rivoluzionare una cultura sportiva incentivando i propri associati a provare l’esperienza traendone direttamente giovamento per didattica e confronto. Come avviene inoltre in altre realtà Europee le società all’iscrizione dei campionati presentano alla Federazione un arbitro per ogni categoria. Seguire queste strade non solo risolverebbe il problema ma migliorerebbe la qualità degli arbitri e delle società stesse”.

Maria Sole Ferrieri Caputi ha esordito in serie A.  Esiste un movimento femminile sardo?
“La Sardegna conta 105 associate, diverse ci rappresentano dignitosamente a livelli nazionali e tante altre operano meritatamente a livello regionale e provinciale. Ci sono dei percorsi di crescita mirati che vanno a stravolgere degli stereotipi per queste colleghe che sempre di più si affacciano a questa disciplina”.

La Sardegna può andare fiera della sua classe arbitrale?

“Assolutamente sì e lo dimostrano i numeri che esprimiamo a livello nazionale dalla Serie A alla D e nel Futsal nazionale nonostante i risicati numeri regionali. Se abbiamo i ragazzi sappiamo come farli crescere ma la svolta epocale sarebbe quella che anche un allenatore, un dirigente e un genitore riconoscano quel ragazzino con il fischietto come un proprio atleta, tesserato o figlio, rispettandolo e dandogli la possibilità di crescere sereno di farlo divertire con il diritto di sbagliare senza essere offeso o insultato. Non è solo sport ma anche educazione e civiltà”.

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