Un anno fa di questi tempi retrocedeva in Lega Pro con il Como. Evidentemente, il prezzo da pagare per crescere in fretta e lontano da casa, staccare l'etichetta del predestinato, diventare un giocatore davvero e tornare al Cagliari dalla porta principale. In tanti, al suo posto, sarebbero caduti e chissà se e quando sarebbero poi riusciti a rialzarsi. Perché il pallone va veloce, ma la testa molto di più.

E il talento da solo non basta nemmeno per sopravvivere. Ma in una stagione e mezzo, Nicolò Barella ha dimostrato di avere sia talento che testa, e soprattutto coraggio e personalità pur essendo così giovane (ha compiuto vent'anni a febbraio). Non a caso, è diventato titolare inamovibile in Serie A e tra dieci giorni proverà a prendersi la scena con la maglia azzurra nei Mondiali Under 20 che si disputeranno in Corea del Sud.

Vetrina prestigiosa dalla quale sono passati tanti campioni: persino Maradona nel 1979, più recentemente Messi, ma anche Dani Alves, Xavi e non solo. L'ultimo forse Pogba, nel 2013.

Barella, che effetto fa rappresentare il Cagliari e la Sardegna in un Mondiale?

"Un orgoglio. Se ci sono arrivato lo devo al Cagliari che ha creduto in me. Essere cresciuto nel settore giovanile rossoblù poi, è motivo di ulteriore orgoglio".

In Corea con quale obiettivo?

"Non abbiamo nomi altisonanti, cercheremo comunque di ottenere il massimo. Troveremo tanti talenti, navigati. Noi siamo giovani e umili, ma carichi al punto giusto".

Due-tre compagni da osservare con particolare attenzione?

"Mandragora della Juventus sicuramente. Ma anche Dimarco dell'Empoli e Favilli dell'Ascoli".

Non trova strano che non sia mai stato convocato in Under 21?

"Sono contento di continuare a far parte di questo gruppo perché potrò disputare i Mondiali. Non nego, però, che mi avrebbe fatto piacere giocare in Under 21".

È stata per lei una stagione speciale: il momento della svolta?

"È brutto da dire, ma un periodo sfortunato del Cagliari è stato la mia fortuna. Gli infortuni di Joao Pedro e Ionita, Dessena poi non stava bene. E lì mi son detto: è il tuo momento, devi sfruttarlo".

La partita in cui ha capito di essere diventato importante per il Cagliari?

"In casa con l'Udinese, vittoria per 2-1. Pur avendo giocato titolare anche la domenica precedente con il Chievo, quel giorno mi sono sentito davvero parte della squadra. E infatti non sono più uscito, se non per squalifica".

Quella più amara, invece?

"A Firenze, sbagliai il gol nel finale e nell'azione successiva segnò la Fiorentina. Mi sentivo il responsabile. Anche quella con la Lazio è stata dura da digerire".

In B non trovava posto, in A è titolare inamovibile: che cosa ha fatto per convincere Rastelli?

"Spesso sento dire che l'anno scorso hanno sbagliato Rastelli a non farmi giocare e la società a mandarmi a Como. La verità è che a sbagliare sono stato solo io e quel prestito mi ha svegliato e reponsabilizzato. Ero abituato a essere coccolato da tutti, lì ho capito cosa significa lottare per qualcosa, dover andare a mille all'ora per conquistare il posto e la fiducia di chi ti sta intorno".

In cosa ha sbagliato?

"Ripartiti dalla B dopo aver esordito l'anno prima in A, mi sentivo già arrivato. Non avevo la testa giusta. O almeno, non quella di chi si deve guadagnare ogni giorno il posto. Come se tutto fosse scontato. E questo l'ho capito proprio in quei sei mesi a Como».

Il rapporto con Rastelli?

«Buono, come con gli altri compagni. Siamo tutti bravi ragazzi e lui è una brava persona. Poi parla tanto con noi, e questo mi ha aiutato a crescere. Mi riprende quando sbaglio, e io ho bisogno di essere ripreso per capire meglio gli errori".

Lo confermerebbe?

"Ha centrato l'obiettivo, che altro si può aggiungere? Poi queste decisioni spettano alla società".

Se fosse, invece, lei l'allenatore, come farebbe giocare Barella: regista, mezzala o trequartista?

"Mi piace attaccare, quindi trequartista. Mi piace, però, anche costruire come un regista. Alla fine, penso che il giusto compromesso sia la mezzala, una via di mezzo".

C'è chi la paragona a Nainggolan.

"Non scherziamo. Nainggolan è il centrocampista, secondo me, più forte in Serie A. Siamo diversi poi. Entrambi, però, diamo il cento per cento per le nostre squadre".

Che cosa le ha detto dopo la partita con la Roma?

"Che sto diventando forte quasi quanto lui. Ma che ancora devo mangiare parecchio pane".

C'è piuttosto un giocatore al quale si ispira?

"Non mi rivedo in nessuno. Giusto da bambino ho sempre visto Stankovic come il centrocampista per eccellenza, forse per i gol spettacolari che faceva".

Il consiglio più importante che ha ricevuto?

"Quelli di Conti, Cossu e Pisano. Più comportamentali che tecnici, però. Mi hanno spiegato che cosa vuol dire giocare nel Cagliari".

La persona che ha più creduto in lei nel Cagliari?

"Beh, Matteoli. Mi ha fatto sentire subito importante e preso a calci nel sedere quando serviva. Nel mio cuore, però, c'è soprattutto Franco Masia. Non ho un carattere facile e lui è riuscito a indirizzarmi".

L'allenatore che, invece, le ha dato la spinta?

"Gianluca Festa: mi ha fatto esordire in Serie A e voluto con sé a Como".

Il suo agente, Beltrami, è molto presente, quanto è importante?

"Non importante, importantissimo. Ci sentiamo continuamente. Non è un agente qualunque, è un amico".

Il 18 che ha sulle spalle lo ha scelto Giulini, giusto?

"Sì, due anni fa. E da allora non l'ho più lasciato. Anche il presidente è molto presente, per lui il rapporto umano viene prima di tutto. Il suo sostegno durante l'esperienza a Como è stato prezioso".

Il compagno più forte sinora?

"Nainggolan, anche se insieme ci siamo solo allenati".

Quello col quale ha giocato nelle giovanili e che, secondo lei, avrebbe meritato la stessa sua chance?

"Antonio Loi ha qualità tecniche impressionanti, meriterebbe la Serie A, e non solo. Nel calcio, però, contano molto anche fortuna e bravura al momento giusto".

Il più simpatico?

"Andrea Cossu".

Quello che l'ha più sorpresa quest'anno?

"Bruno Alves, un professionista esemplare".

Quello che farebbe giocare alla PlayStation sempre e comunque?

"Marco Sau".

Titolare in Serie A a vent'anni, non c'è il rischio di sentirsi arrivato troppo presto?

"No, perché ho già capito sulla mia pelle cosa voglia dire sentirsi arrivato, non esserlo e pagarlo".

In effetti, manca ancora uno scalino: il gol.

"È la gioia più grande per un calciatore, lo sognavo da bambino. E lo sogno ancora".

Anche perché c'è una bimba di due settimane che aspetta la dedica.

"Appunto. Essere diventato padre è qualcosa di indescrivibile. Con la mia fidanzata Federica a volte restiamo incantati. Rebecca ci ha stregato".

Dove si vede tra cinque anni?

"Ora penso al Mondiale, poi a preparare al meglio la prossima stagione. Sono tifoso del Cagliari e cresciuto col mito di Daniele Conti, sarebbe bello un giorno diventare una bandiera anch'io. Magari giocare in Europa. Vediamo cosa mi riserverà il destino".

C'è qualcosa che non rifarebbe?

"Quei primi sei mesi in B. Mi sarei dovuto presentare con un'altra testa, invece ho sbagliato tutto".

Come si digerisce una sconfitta a Napoli?

"Per chi ha il Cagliari dentro come me, non si digerisce proprio. Ci abbiamo provato, purtroppo il Napoli è stato più forte e bravo".

Perché i tifosi domenica dovrebbero andare a vedere Cagliari-Empoli?

"Perché vogliamo chiudere alla grande dopo aver centrato l'obiettivo. Tra l'altro, sarà la mia ultima gara, poi partirò. E vorrei fosse speciale".

Fabiano Gaggini
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