Che anno meraviglioso. Un film sulla sua vita, la sua squadra del cuore che torna in Serie A all’ultimo respiro. La passione travolgente, infinita della sua gente, del “suo” popolo. Un sentimento mai ingombrante. Sì, magari avvolgente, ma sono gli inconvenienti di quel problema chiamato amore. Qualche amico si ferma per strada e saluta le questioni terrene, ma lo sai che le stagioni sono così, sei attrezzato. Da quelle finestre, da quella casa al centro della vita cagliaritana, osservi, mediti, ti costruisci una routine fondamentale per afferrare il giorno dopo.

Abbiamo capito, ma non è certo una sorpresa, che Riva è ancora Riva, sempre di più, sempre meno ricordo e più simbolo. Abbiamo realizzato ancora una volta che Luigi Riva – Leggiuno, 7 novembre 1944 – oltre il mare Tirreno continua a essere impresso sulla pelle di quelli che sanno, che hanno visto e sentito. Dei tanti che hanno vissuto. Ieri sera, quel “Rombo di Tuono” è sbarcato dal grande schermo alla pay tv. Un’uscita del film anticipata dal regista che ha rivelato: ci ha messo ventidue anni a darmi una risposta, ha raccontato Riccardo Milani. E uno come lui non lo trovi mica dietro l’angolo. Sarebbe andata più o meno così: “Il film? Sì, no, forse, non me la sento, magari più in là”. Intanto ci giocavamo tredici governi, vincevamo e perdevamo i Mondiali, passando da un Ronaldo all’altro.

Riva, la sua prima estate al mare se la ricorda?

«Certo, da Leggiuno ci portavano a Cesenatico, con il pullman del collegio dove stavo. Ma non avevo il tempo di divertirmi, perché avevamo il permesso di un quarto d’ora e poi via, si tornava in istituto».

Ma Nicola e Mauro non la portano a fare un tuffo?

«Sì, qualche volta succede. Ma a me non piace la sabbia, mi piace il mare con le rocce. La parte di costa verso Villasimius la preferisco alle altre».

Sarà un'estate senza Mondiali, Europei, sai che noia...

«Ah, non ci sarà nulla? Vabbè, poco male, tanto non le guardo mai in diretta».

La tv è una piacevole compagna di viaggio? Cosa guarda?

«Sì, sicuramente. Mi piacciono i film, le manifestazioni sportive. E i telegiornali, ne seguo tanti, le notizie mi riempiono la giornata».

Ma il gol di Pavoletti a Bari lo ha rivisto, a bocce ferme?

«Non l’ho visto sul momento, poi ho avuto occasione. Non riesco a vedere le partite del Cagliari, non è un’emozione che riesco a sopportare».

C’è un signore romano, che lei avrebbe contribuito a convincere per un romantico ritorno a Cagliari, che ha detto testualmente: “Io come Riva? No no, Gigi lasciatelo nell’Olimpo dei grandissimi”. Si chiama Claudio Ranieri.

«Merito del presidente, è stato lui a decidere l’ingaggio dell’allenatore. Io ho fatto quel poco che potevo fare. Sì, è stato un grande gesto, quello di prendere la squadra in quel momento di difficoltà, poi lui ha diretto molto bene il Cagliari. Le scelte, la tattica, l’atteggiamento giusto. Anzi, voglio dire che ritengo sia stato l’allenatore il vero protagonista di questo recupero straordinario. In verità, prima del suo arrivo, non credevo a una risalita così impetuosa, ma poi vincevamo qui, vincevamo lì, il Cagliari non perdeva più. E poi è andata come è andata».

Come si diventa tifoso pur essendo ancora il più tifato?

«Il Cagliari ce l’ho nel sangue. Se penso a qualcosa, un’azione, un mio gol, c’è sempre il Cagliari nella mia testa».

A proposito di tifo, di recente è volato in cielo, o zone limitrofe, Silvio Berlusconi. E gli ultras hanno colorato il funerale con slogan, cori e fumogeni. Che tempi strani...

«Non sapevo. Io non guardo ciò che fanno gli altri in queste manifestazioni pubbliche. Il mio punto di vista lo tengo riservato, posso dire qualche preghiera al massimo. Senza dubbio, per il Milan è stato un grande presidente».

Un altro signore, che aveva l’Inter fra i gioielli di famiglia, ha detto in un film che la riguarda di aver comprato il Cagliari per non farla passare alla Juve. Parola di Massimo Moratti.

«Non ci sono andato io alla Juve. E non sarei andato neanche all’Inter, scrivilo. Poi, non so come effettivamente siano andate le cose. Io pensavo a giocare. E a poco altro».

Un altro signore, passato dalla Premier al Cagliari per riportare la squadra in Serie A con le sue giocate, ha detto ieri che i soldi degli arabi tolgono fascino al calcio europeo. Si chiama Gianfranco Zola.

«Sono sicuro di una cosa. E parlano i fatti. Per quanto mi riguarda, non sarei mai andato in un altro club e non era un problema di soldi. Però effettivamente quando il prezzo di un calciatore vola così in alto, ci sono solo pochissimi club che possono competere. E oggi ci sono gli arabi. Un tempo i padroni del mercato erano i nostri club».

Momenti di felicità. Ne dica uno, il primo che le viene in mente.

«La sorpresa dello spareggio. La finale del Cagliari a Bari. Eravamo al novantesimo, io ero da un’altra parte della casa, mio figlio ha urlato al gol del vantaggio e allora sono andato e ho avuto il coraggio di vedere tutto».

Che cosa la fa arrabbiare?

«Non mi piacciono i troppi stranieri nel calcio italiano».

Perché?

«Troppi nomi esotici, non esiste più un tipo di gioco “italiano”, secondo me la Serie A di oggi non è bella e spettacolare come prima».

Confessi: lei non ha visto “Nel nostro cielo un Rombo di tuono”, il film. Al cinema, quella sera della prima, ha chiuso gli occhi.

Ride, di gusto.

«Allora, quella sera ero talmente preso, emozionato, stranito che non mi ricordo niente. Non lo guarderò neanche alla televisione, non ho quel canale».

Però…

«Però, se devo dire la verità, mi interessa. Perché vorrei sapere se il regista ha raccontato la verità, il mio pensiero. I miei figli mi hanno detto che ha rispettato con cura quello che è venuto fuori, anche il mio passato e quello che è la mia vita oggi. Ma lo vedrò, prima o poi, lo prometto».

Torniamo in campo, che è roba sua. Dia un consiglio da presidente a un altro presidente, quello del Cagliari.

«Io penso che Giulini sia una persona buona, che ama il Cagliari e che ha imparato da alcuni errori che ha fatto, e ci stava, a non commetterne altri. È un presidente che capisce di calcio ed è riuscito a farsi accettare nel mondo degli altri proprietari dei club. Non era facile, sa il fatto suo».

Nel film di Milani, ci sono dei passaggi toccanti, per chi vive da queste parti. C’è un personaggio di caratura mondiale come Roberto Baggio che confessa di aver tremato quando l’ha vista per la prima volta, in Nazionale, tanto da non riuscire ad avvicinarsi. E poi l’atto d’amore di Nicolò Barella, al quale lei ha sempre raccomandato di restare umile. E lui, quelle frasi, ce le ha ben fisse in mente.

«L’umiltà è il nostro segreto. E per nostro, intendo noi sardi».

Ma Riva avrebbe voluto essere Riva, quando sognava da ragazzo, oppure quei sogni la portavano da un’altra parte?

Si schiarisce la voce.

«Sognavo di essere Riva. E di fare questo. Ma non nell’Inter o nella Juventus. Sognavo di essere Riva del Cagliari».

Enrico Pilia

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