Da Oristano in giù il pallone è in crisi totale. Solo una squadra di Serie D (il Muravera), poi Eccellenza e Promozione. Tante nobili del calcio isolano sono relegate nelle retrovie. Soltanto il Carbonia sembra aver ritrovato la luce. Tempi ancora bui per società che negli anni Novanta, ma anche prima, dettavano legge. Tra queste Monteponi, Fersulcis, Gialeto, Ussana, Decimoputzu, Sinnai, Selargius, San Sperate, Guspini, Pula, Dolianova, Carloforte, Senorbì, Mandas e Monreale. Ecco il perché degli esperti. "Il Carbonia è stato per troppo tempo nel limbo, dice il vice presidente della società mineraria Checco Fele. La causa è legata alla crisi economica. La nostra provincia è la più povera n Italia. Il Carbonia ha vissuto due periodi d'oro. Quello delle miniere, negli anni Cinquanta e Sessanta, con la Carbosarda che sfiorò la Serie B nella stagione 1955/1956. E quello del boom del polo industriale di Portovesme negli anni Ottanta che ha "regalato" ai nostri colori sei stagioni di fila in Serie C2". Fele era stato al comando di quello squadrone. "Adesso ci stiamo riaffacciando nel calcio che conta, continua, grazie ad una struttura societaria ben solida e organizzata. Pensiamo di avere i requisiti per poter reggere un campionato di Interregionale con l'obiettivo di una salvezza dignitosa".

Sono sparite dallo scenario del massimo campionato regionale e dalla D società campidanesi, del Medio campidano e anche dell'oristanese. Queste negli anni Ottanta e Novanta mostravano i muscoli. "In questi ultimi anni sono emerse altre realtà>, conclude Fele, Stesso pensiero di Fele per Nino Cuccu, decano degli allenatore, ora in forza al Tonara e protagonista negli anni d'oro della grande Tharros. "Per fare calcio sono necessarie tre cose: Risorse economiche, competenze e giocatori forti. E' evidente che la seconda e la terza dipendono dalla prima. Recentemente sono emerse società che rappresentano paesi che si affacciano sul mare, dove il mercato del turismo è florido". Un altro punto sul quale Cuccu batte è il settore giovanile.

Antonio Serreli
© Riproduzione riservata