È nella top 50 dei bomber più prolifici della Serie A, di cui è stato anche capocannoniere. Ha giocato all'estero e vestito le maglie di tutte le Nazionali: under 21, under 23, Olimpica, maggiore. E, in carriera, è stato allenato da alcuni tra i più grandi mister del calcio nostrano, da Castagner a Ranieri, passando per Mondonico fino ad arrivare a Marcello Lippi.

Eppure di Cristiano Lucarelli, che oggi ha 43 anni, si parla ormai poco.

Che fine ha fatto? Ha provato la carriera di allenatore, finora senza molta fortuna. Ma non sembra intenzionato a mollare.

"Sto andando un po’ in giro a vedere gli allenatori bravi, a fare un po’ di aggiornamento. Sfrutto il periodo di pausa in questa maniera, poi vediamo cosa succederà e se ci saranno opportunità le valuteremo", ha dichiarato in una recente intervista.

Uno dei tanti vip che scelgono, più o meno scientemente, di eclissarsi.

Basti pensare ai "soli" 4mila "amici" che lo seguono sui social.

Nel 2009, durante un duello aereo con Lazzari del Cagliari (Ansa)
Nel 2009, durante un duello aereo con Lazzari del Cagliari (Ansa)
Nel 2009, durante un duello aereo con Lazzari del Cagliari (Ansa)

Numeri impensabili nell'era dei calciatori che valgono, se valgono, anche per il numero di follower.

Per gli appassionati, però, l'ex centravanti con il 99 sulle spalle era e resta una delle ultime bandiere di un calcio che non esiste più. Per chi è di sinistra, poi, Cristiano è addirittura un mito.

La sua storia, del resto, parla chiaro.

Nato e cresciuto nella rossissima Livorno, Lucarelli sin da bambino ha avuto un sogno. Anzi, un Sogno, con la esse maiuscola: giocare nella squadra di calcio nella sua città.

E una volta conquistata la maglia amaranto, Cristiano non ha esitato a tenersela stretta, rinunciando anche a contratti da capogiro.

Indimenticabile, ad esempio, la risposta che diede, al culmine della carriera, a chi gli proponeva ingaggi faraonici per lasciare il club toscano: "Tenetevi il miliardo (di lire)". Tanto eloquente da diventare il titolo della sua biografia.

Ipse dixit, "alcuni giocatori si comprano la Ferrari. Io ho scelto di comprarmi la maglia del Livorno".

Fantascienza nel calcio odierno, dove sempre più giocatori scelgono le proprie destinazioni anche e soprattutto guardando al portafoglio.

Oltre a Livorno, Cristiano ha vestito le casacche di altri prestigiosi club italiani ed esteri, Parma, Torino, Napoli, Valencia, Shakthar, collezionando complessivamente 551 presenze e mettendo a segno 221 reti. Ma è nella sua città che ha dato il meglio di se stesso.

È li che si è formato. Calcisticamente e politicamente.

Al Valencia (Ansa)
Al Valencia (Ansa)
Al Valencia (Ansa)

"Anche se non sai niente di politica e sei solo un bambino, vedi che quasi tutta la città è di sinistra. Quando ero piccolo questa era una popolazione di portuali, c'erano solo cinque o sei famiglie coi soldi. Sì, non è difficile essere di sinistra se sei di Livorno".

Ed è proprio per questo che Cristiano Lucarelli, a differenza di praticamente tutti i suoi colleghi (ad eccezione, così, a memoria, di pochi altri, come Riccardo Zampagna e, sponda destra, Paolo Di Canio), non ha mai fatto mistero della sua fede politica.

Anche sul rettangolo verde.

Anzi, per qualcuno proprio le simpatie di sinistra hanno in qualche modo limitato la sua carriera.

A Napoli prima del ritiro (Ansa)
A Napoli prima del ritiro (Ansa)
A Napoli prima del ritiro (Ansa)

Un episodio su tutti: 27 marzo 1997. La Nazionale under 21affronta la Moldavia. E si gioca all'Armando Picchi di Livorno.

Uno stadio che Lucarelli, per l'occasione convocato in azzurro, conosce benissimo, anche per averlo vissuto da semplice tifoso, un posto fisso in curva alla domenica.

Fatto sta che la favola diventa realtà: Totti, anche lui giovanissimo, serve in area e Cristiano insacca in rete di prima.

Poi fa quello che avrebbero fatto tutti: va sotto gli spalti a festeggiare. Non solo: si toglie la maglia e mostra ai tifosi, i suoi amici, una t-shirt raffigurante Che Guevara.

Apriti cielo. L'esultanza sopra le righe desta scalpore e innesca polemiche.

Hai voglia a spiegare che, oltre a evocare l'Internazionale, il Che, a tinte bordeaux, è anche l'emblema dei supporter livornesi.

Hai voglia a dire che era un omaggio alla città.

Hai voglia a ripetere che "se il simbolo degli ultras fosse stato il Papa, avrei messo una t-shirt con la sua faccia".

Niente da fare. Da quel momento Lucarelli diventa "Lucarelli il comunista".

Con la maglia della Nazionale (Ansa)
Con la maglia della Nazionale (Ansa)
Con la maglia della Nazionale (Ansa)

E di lì in poi, per dimostrare di essere in primis un grande campione, dovrà impegnarsi il doppio. Ovviamente a suon di gol.

Nel 2004/2005, col suo Livorno, ne segna 24 in 33 partite. La stagione dopo 19.

Per questo quando l'allora ct della Nazionale Marcello Lippi (viareggino) rende nota la lista dei convocati per i Mondiali di Germania tutti strabuzzano gli occhi non vedendo il suo nome sotto la voce "Attaccanti". Al suo posto, Vincenzo Iaquinta, 9 reti (5 rigori) con l'Udinese.

Scelta tecnica, si dirà. "Cristiano è un po'... problematico" ammetterà invece Lippi.

Poi gli azzurri il Mondiale lo vincono e la polemica finisce lì. Assieme al dubbio di un'esclusione figlia anche di quella vecchia esultanza poco istituzionale e troppo guascona. Anzi, cheguevaresca.

Un dubbio che sicuramente rimane, a quasi 13 anni di distanza, anche al diretto interessato.

Ma forse, dopotutto, è giusto così. Il calcio è fatto anche di campioni che sono campioni pur non essendo diventati campioni.

Come Cristiano il "rosso".

Lui che non è mai stato e mai ha voluto essere omologabile. Perché, come ebbe a dire il suo agente Carlo Pallavicino: "si è sempre ribellato contro il conformismo del mondo del calcio. Un mondo che non tollera la diversità".

Luigi Barnaba Frigoli

(Unioneonline)

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