Dalla Sardegna alla Toscana in windsurf: un’impresa impossibile? Non per Matteo Iachino. Il campione è partito da Golfo Aranci ed è arrivato a Livorno.

Un viaggio durato 9 ore e 48 minuti per percorrere 378 chilometri.

Iachino, nato a Savona nel 1989 e cresciuto ad Albisola Superiore, ha cominciato a fare windsurf quando aveva 8 anni, «per gioco, ma non mi piaceva, due anni dopo invece, insieme a degli amici, volevo far vedere che ci sapevo andare, come fanno i ragazzini insomma, e ho ripreso». In poco tempo sono arrivate le prime gare e una scalata che lo ha portato a diventare il primo italiano a vincere una coppa del mondo, oltre che campione europeo. Lo scorso 18 ottobre è stato protagonista di una traversata storica.

Dalla Sardegna a Livorno, quale tratta ha scelto?

«Sono partito da Cala Spada, una caletta sulla punta di Golfo Aranci, quella parte si affaccia sul Mar Tirreno e mi evitava di fare il giro, a Livorno sono arrivato al Centro Surf Tre Ponti dove si trova una scuola di windsurf di amici, che sono molto attenti a curare la classe giovanile».

Come è nata l’idea?

«L’anno scorso ho attraversato il Mar Ligure da Imperia a Giraglia, in Corsica, e un mese dopo col mio team mi sono seduto a tavolino con un mio amico e abbiamo detto “cosa facciamo nel 2023?”. Una delle prime opzioni era quella di attraversare il Tirreno. Vittorio Serra, un surfista sardo, aveva compiuto la traversata partendo dalla Gallura, a tappe, toccando Corsica, Elba e Piombino in una settimana. Io volevo fare qualcosa di più e in una giornata sola».

Il piano qual era?

«Vedere quale distanza si può percorrere col windsurf in una giornata secca, senza dormire. Guardando le distanze ho valutato la Golfo Aranci-Livorno. Golfo Aranci è un punto strategico, arrivano i traghetti, tutti sanno dove si trova. E poi volevo raggiungere il punto più a nord possibile, costeggiando la Corsica, andando su Piombino e poi risalire. Livorno ha uno dei club più importanti d’Italia, sono degli amici, era la giusta destinazione».

Tutto studiato?

«In realtà Stefano Camera, che mi aiuta nell’organizzazione, era molto scettico: 280 km sulla carta, con in mezzo le isole... Io ero più positivo. Pensavo: se va male mi fermo prima».

Si era preparato bene?

«Certo, da un punto di vista materiale, fisico, con la ricerca di possibili partner come Yamaha Marine di Olbia che con Lomar Cantieri ci ha supportato e hanno deciso di prendere parte a questa impresa senza sapere, in realtà, se saremmo riusciti a portarla a termine. Poi c’erano i fotografi, il team media: Giovanni Tesei, Silvio Gandolfo, Riccardo Piombo per l’assistenza e per il drone, Walter Scotto che è un forte windsurfista di origine ligure. Lorenzo Orru, comandante della barca, che ha 74 anni e mi ha stupito: è stato davvero in gamba. E la mia compagna, Blanca Alabau, che curava tutti i social media e i live».

Qual è stata la velocità media?

«20 nodi, 38,3 km all’ora».

Che vento c’era?

«Avevamo un “waiting period”, periodo di attesa, dal 5 al 25 ottobre per avere un vento meridionale, da sud sud-est, e il 18 c’era un ottimo scirocco disteso».

Che percorso ha fatto?

«Volevo costeggiare la Corsica ma non c’era vento e sono rimasto distante dalla costa, per 3 ore non ho avvistato terra a 360 gradi. In quel momento mi sono un po’ scoraggiato, la mia idea era un po’ romantica: vedo La Maddalena, attraverso Bonifacio, quando arriva Montecristo attraverso e vado sulle isole, ma non è andata così».

E cos’ha fatto?

«Sono andato dritto per Montecristo, è un’isola piccola e molto alta ma prima di vederla è stata dura, senza avere punti di riferimento. Cercavo di concentrarmi, di scandire il tempo».

Ha usato un windsurf particolare?

«Il Foil, quasi tutte le gare si svolgono così, “volando” sull’acqua, questo permette di andare più forte con un vento più leggero. È un po’ l’evoluzione del windsurf, a velocità medie più alte, non sbatti sull’acqua, ha una performance elevata».

Matteo Iachino durante la traversata (foto concessa)
Matteo Iachino durante la traversata (foto concessa)
Matteo Iachino durante la traversata (foto concessa)

Cosa indossava?

«Muta con maniche corte, la più comoda, sulle spalle uno zaino da sei litri con acqua e sali minerali, e un tubicino sul petto che mi permetteva di bere, ogni mezz’ora mangiavo una barretta energetica con cereali e miele. In testa un cappellino perché l’anno scorso ho navigato per sei ore e mi sono ustionato».

Era da solo durante la traversata?

«Avevo l’assistenza di una barca per le emergenze. Facevo un percorso a zig-zag larghissimo, il vento ti obbliga ad andare in un certo modo, non è come l’auto, ecco. La barca aveva una direzione e andava dritta al punto, ogni tanto ci incrociavamo ma poi ci siamo persi perché la radio si è rotta, a metà tra Golfo Aranci e Montecristo ero completamente solo. In quel momento è stata dura, anche se avevo un gps addosso e uno era collegato allo Yacht Club Italiano di Genova, per cui gareggio: potevano seguirmi live e mi vedevano in diretta grazie al segnale. In caso di necessità i soccorsi mi avrebbero trovato in poco tempo».

Come si orientava?

«Conoscevo più o meno la direzione rispetto al vento, che era costante, sapevo che dovevo andare più “poggiato”, col piede destro davanti. Dalla barca non mi hanno mai corretto. All’inizio dovevo “scendere” e quando vedevo Montecristo sarebbe arrivata poi Pianosa, da lì avrei visto l’Elba. Dopo le isole dovevo andare a Piombino e risalire sulla costa. In realtà, passata l’Elba a ovest invece di passare a sud e poi a est, perché questo era il suggerimento datomi da un amico del posto, all’altezza del Monte Capanne, dietro la montagna non c’era vento. E quindi sono tornato verso ovest, ho ripreso il canale di vento e sono rimasto in mezzo al mare in direzione Livorno».

La Sardegna per il windsurf è un paradiso?

«Sì, senza dubbio, è il top in Italia. Il mio allenatore, Giuseppe Pugliese, è di Cagliari, vengo nell’Isola da quando ero un ragazzino, sono molto legato alla Sardegna. Nei pochi periodi liberi è una destinazione bellissima per le mie vacanze».

Lo slogan della sua impresa è stato “Un solo mare per tutti”, cosa significa?

«Abbiamo un solo mare per chi è sportivo e per chi non lo è, lo vorremmo pulito, senza plastica, senza rifiuti, dobbiamo prendercene cura. La mia idea è quella di sensibilizzare le nuove generazioni, specialmente quelle liguri perché siamo sul mare ma i ragazzini non lo vivono. Insieme all’associazione Il Porto dei Piccoli organizziamo giornate per spiegare cos’è il windsurf, il rispetto per il mondo marino, la traversata insomma è un progetto sportivo e sociale, vorrei arrivare ai più giovani parlando di cose che possano appassionarli, e queste imprese possono raggiungerli più facilmente».

Cosa sta preparando ora?

«La Coppa del Mondo in Giappone, ho già iniziato gli allenamenti».

Un ricordo particolare di questa impresa Sardegna-Toscana?

«La ragazza che a Cala Spada mi ha preparato il caffè prima di partire. Abitava lì dietro, è arrivata col vassoio, non potevo rifiutare. Era anche buonissimo, non so come si chiami ma la vorrei ringraziare, è stata accogliente come tutti i sardi».

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