Ha fatto a lungo il professionista, oggi è uno dei più importanti giocatori della Serie D. Antonio Loi.

Ha esordito in Serie A il 27 aprile 2014 con la maglia del Cagliari. Contro il Parma, era subentrato nel finale a Mauricio Pinilla. Nato il 25 agosto 1996, l’attaccante di Isili oggi è un punto di forza dell’Arzachena (Serie D, girone G). Ha dato i primi calci al pallone con l’Isili per poi passare al Cagliari a dieci anni dove ha fatto tutta la trafila delle giovanili sino all’esordio in prima squadra.

«A sedici anni ero già nel giro della prima squadra – racconta Loi – Era il Cagliari di Cellino e la squadra si era classificata in undicesima. Il sogno di esordire nella massima serie si realizza nel 2014 contro il Parma di Cassano. Dentro di me ero convinto di poter stare a quei livelli. Essendo un ragazzo di sedici anni non ero tanto maturo».

Successivamente ha indossato le maglie di Carpi, voluto fortemente da Giuntoli, Reggiana («Una piazza bellissima e una squadra davvero forte»), Modena, Feralpisalò e dal 2018 Arzachena (con una parentesi a Muravera), chiamato dal direttore Antonello Zucchi. «Quando lo portai – dice Zucchi – militavamo in Lega Pro. Un giocatore con qualità immense».  

Loi non intende muoversi da Arzachena. «Ho trovato serenità e sento la fiducia della società. Mi dispiace per alcuni infortuni muscolari che sto cercando di risolvere. Il rimpianto è non riuscire ad avere continuità». Il ritorno nei professionisti? «In Serie A è difficile ma sono convinto di potermi riavvicinare». 

L’attaccante dai piedi d’oro fa un sunto della stagione appena conclusa. «Altalenante nella prima parte. Siamo partiti forte poi siamo calati soprattutto per i tanti infortuni che hanno colpito tutto il reparto offensivo. Abbiamo pure dovuto guardarci alle spalle. Da dicembre, dopo aver recuperato diversi giocatori, abbiamo viaggiato quasi con la media punti delle prime riuscendo a raggiungere il quarto posto. Poi la semifinale playoff con la Casertana: siamo usciti a testa alta. Gli applausi del pubblico del “Pinto” ci hanno inorgoglito».

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