''Qualsiasi polemica è alle nostre spalle, questo non è un tribunale morale, ma una mostra del cinema, dell'arte meravigliosa''.

Così Luca Barbareschi ha aperto alla Mostra del Cinema di Venezia la presentazione di "J'accuse", il film di Roman Polanski sul caso Dreyfus, di cui è con altri produttore, in concorso in laguna e dal 21 novembre nelle sale con 01 Distribution.

Le polemiche sono quelle per le dichiarazioni, poi rettificate, del presidente di giuria Lucrecia Martel, che aveva detto non avrebbe partecipato alla serata di gala di "J'accuse" per il ''disagio'' nei confronti dell'86enne regista, su cui pende un mandato di cattura Usa dopo la condanna per il rapporto sessuale con una tredicenne consumato con l'ausilio di sostanze stupefacenti nel 1977.

Assente dal Lido perché gli Usa potrebbero chiederne l'arresto e l'estradizione, Polanski ha fatto sentire la sua voce nell'intervista inserita nel press-book di "J'accuse": ''La storia di un uomo ingiustamente accusato è sempre affascinante, ma è anche una questione molto attuale, vista la recrudescenza dell'antisemitismo''.

Polanski torna in particolare sul caso Dreyfus, il capitano di origine ebraica incarnato da Louis Garrel e accusato nel 1894 di aver passato informazioni militari ai tedeschi, per poi essere condannato all'ergastolo sull'isola del Diavolo.

Nella sostanza, prove inesistenti e artefatte, antisemitismo montante. E sull'affaire prese posizione, con il celeberrimo "J'accuse", lo scrittore Èmile Zola con una lettera pubblica al presidente della Repubblica.

Sul fatto che in questo "J'accuse" oggi in concorso a Venezia ci sia un po' anche della vicenda personale di Polanski, il regista spiega: ''Il mio lavoro non è terapia. Tuttavia, devo ammettere che ho familiarità con molti dei meccanismi dell'apparato di persecuzione mostrati nel film, e questo mi ha chiaramente ispirato''.

Barbareschi ha tenuto a precisare di poter "ringraziar Dio" per "aver potuto lavorare con Polanski" in una storia "di attualità sconcertante''.

Quindi, si lascia alle spalle le dichiarazioni della Martel: ''Il passato è passato, il film deve parlare, la giuria giudicare, il pubblico, se vuole, applaudire''.

(Unioneonline/v.l.)
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